Migrazioni verticali di classe. Quando la montagna e il clima sono fattori di diseguaglianza sociale 

approfondimento


Articolo tratto dal N. 44 di Le diseguaglianze (non) vanno in vacanza Immagine copertina della newsletter

I dati ISTAT del periodo 2018-2023 analizzati in MICLIMI ci dicono che da Milano e da Torino è in atto un lento ma graduale spostamento di residenti verso alcuni comuni montani – specie in Val d’Aosta, Trentino Alto-Adige e alta Val Susa in Piemonte – tra cui, nel caso milanese, spicca l’attrattività residenziale di una nota meta turistica come Courmayeur. Sono dati confermati anche da quanto emerge dal recentissimo “Rapporto Montagne Italia 2025”, a cura di UNCEM, dove si analizzano le nuove tendenze della mobilità residenziale verso la montagna, alla luce di un inedito spostamento di persone verso piccoli comuni interni, in fuga dalle aree metropolitane di pianura.

Le nuove migrazioni climatiche 

Le migrazioni climatiche non sono e non saranno solo quelle internazionali: una nuova categoria si va affacciando sulla scena della mobilità umana nel nord globale, quella dei migranti climatici verticali. 

Le torride estati degli ultimi anni, come il loro impatto sulle grandi aree urbane come quelle della pianura padana, stanno incidendo in modo significativo su quell’aspirazione a muoversi verso le aree montane del paese, già registrata da oltre un decennio da diverse ricerche sull’arco alpino.  

Il dato nuovo è rappresentato da quella quota crescente di cittadini – oltre il 30% del campione statisticamente rappresentativo intervistato da MICLIMI nel 2023 – che guardano alla montagna come a un rifugio climatico: un luogo alternativo alle metropoli roventi e super inquinate, non solo per le ferie estive o per le tradizionali settimane bianche ma anche per viverci tutto l’anno.

Tante persone, anche non appassionate di sport outdoor o scalate alle vette, mostrano dunque un crescente interesse per nuovi modi di abitare, che possiamo definire come “metromontani” (descritti nel volume “Metromontagna”, curato da Barbera e De Rossi): un ideale di vita a cavallo tra città e terre alte, in luoghi ambientalmente di pregio ma comunque connessi al resto del mondo, dove sperimentare i vantaggi della “rarefazione sociale”, di una “giusta distanza” (dalle metropoli come a livello interpersonale) che si è andata ricercando e apprezzando in particolare durante e dopo la pandemia da Covid-19. 

Cosa c’entrano le disuguaglianze? 

Se dunque la montagna alpina sta diventando una meta ambita da quanti vogliono abbandonare le città bollenti e, più in generale, adottare stili di vita multilocali, chi sono e chi saranno in un prossimo futuro i “migranti climatici verticali” nel nostro paese? 

Entra qui in gioco il tema delle diseguaglianze, economiche, sociali, culturali e quindi di opportunità. Come si è visto di recente con gli effetti dei lockdown sul lavoro e sulle possibilità di movimento delle persone – laddove per alcuni si sono aperti gli orizzonti del lavoro da remoto nelle seconde case o del “nomadismo digitale”, mentre per altri la pandemia ha comportato la perdita del lavoro stesso o la costrizione in ristretti contesti lavorativi e abitativi – anche i cambiamenti del clima vanno delineando nuove geografie dell’esclusione.

Se la montagna diventerà sempre più in futuro uno spazio di “salvezza” (esistenziale certo ma anche in termini prettamente sanitari) dagli impatti devastanti del climate change sulle grandi città (quando non di eventuali future pandemie), vediamo già oggi, con il fenomeno dell’over tourism, come i territori montani (specie quelli realmente abitabili e connessi) inizino a diventare una risorsa scarsa. Si moltiplicano allora le iniziative finalizzate a creare contesti accoglienti (dalla bio architettura, agli spazi di co-working e wellness, sino alle filiere locali del food) per determinate categorie sociali, con elevata capacità di spesa, affinché si stabiliscano come abitanti intermittenti.

Una via d’uscita, tra l’altro, dallo stesso over tourism, come ci spiega Selma Mahlknecht nel suo libro All intrusive: non poche località montane iniziano infatti a orientarsi verso una ricettività turistico-residenziale fatta di piccoli numeri, di minore impatto ambientale, e in ultima istanza di introiti costanti durante l’anno, addirittura superiori a quelli generati da flussi di massa in ridotti periodi festivi. 

Ecco allora che il tema delle ferie estive diventa cartina di tornasole di processi più ampi, dove il clima, i mutamenti di costume dei ceti più avvantaggiati e le trasformazioni nell’organizzazione della vita quotidiana alle diverse scale territoriali aprono inedite opportunità per forme di migrazione verso l’alto, caratterizzate da una evidente connotazione di classe: un fenomeno a tutto svantaggio di quanti saranno costretti a restare nei forni di pianura durante l’estate e a vivere il resto dell’anno in spazi segregati, già abbandonati dal pubblico e lasciati ora inesorabilmente in basso da questa particolare forma di “secessione dei ricchi”. 

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