Crisi climatica e giustizia sociale – Il tempo libero è un diritto: ma per chi?

approfondimento


Maria Aldera Maria Aldera
Gianluca Ruggieri Gianluca Ruggieri
Articolo tratto dal N. 44 di Le diseguaglianze (non) vanno in vacanza Immagine copertina della newsletter

L’estate di chi resta in città, senza mare, senza ruscelli, senza laghi, senza torrenti, l’estate nelle città della pianura padana, e in particolare a Milano: com’è? 

Mentre le temperature aumentano vertiginosamente — a Milano siamo passati da una media di 22,8°C a 27,3°C nel mese di giugno in meno di dieci anni — i luoghi pubblici di refrigerio diminuiscono.
Nel 2016 a Milano erano accessibili a prezzi popolari quattro centri balneari (Romano, Scarioni, Argelati, Lido) e diverse piscine scoperte. Oggi ne resta aperto solo uno, insieme a due piscine all’aperto, per un totale stimato di 107 mila accessi stagionali: meno della metà rispetto ai 250 mila di nove anni fa. A questi, si aggiungono pochi impianti nella città metropolitana, come l’Idroscalo o la piscina del Forum di Assago. 

A Roma dove la temperatura media rispetto al decennio 2006-2015 è aumentata di +2,7°C, piscine scoperte e centri balneari pubblici non ce ne sono proprio, ma è attivo un servizio dedicato agli over 70 che permette la balneazione gratuita in strutture convenzionate. A Torino, dove l’incremento è di +2,1°C, è in vigore un regolamento per la gestione sociale in regime di convenzione degli impianti sportivi comunali per cui una giornata in piscina può costare tra i 4,50 e i 6€. 

Ma non si tratta solo di numeri: dietro ogni accesso in meno, c’è una famiglia che non può permettersi una fuga, un anziano che cerca refrigerio, un adolescente che ha bisogno di un luogo per passare il suo tempo libero, Yasser diciottenne che muore nel canale Villoresi dove si è tuffato, pur non sapendo nuotare, per un po’ di estate negata. 

In crisi climatica 

La storia milanese è la storia di una città che sembra ignorare l’urgenza climatica. Alla chiusura e privatizzazione delle piscine, si affiancano le nuove piazze, da San Babila a Cordusio, senza alberi, senza ombre. E anche laddove il problema sono i sottoservizi come la metropolitana che complicano l’inserimento di alberi, non si vedono nemmeno aiuole o specchi d’acqua, generando isole di calore che raggiungono i 50 gradi. 

Per riaprire i centri balneari Scarioni e Argelati con un progetto a guida pubblica, che garantisca l’accesso a tariffe comunali e preservi la destinazione degli spazi, per aprire alla balneazione estiva e gratuita la Darsena e il lago del Parco Nord a Niguarda (progettato per essere balneabile, ma mai aperto), e per valorizzare il tema dell’acqua come fonte di refrigerio delle superfici nella progettazione degli spazi pubblici della città, “Sai che puoi?”, associazione di attivismo cittadino, sta promuovendo un appello – Milano Balneare – che ha già raccolto oltre 10.000 firme. 

I centri balneari sono luoghi che per un secolo hanno accolto le cittadine e i cittadini milanesi per praticare sport a basso costo e per trascorrere il tempo libero tra un bagno in piscina e una chiacchiera a bordo di essa. Sono grandi parchi attrezzati aperti nel periodo estivo che hanno sempre esercitato una notevole funzione sociale nel fornire un’opportunità di aggregazione per tutte quelle fasce di popolazione che non hanno i mezzi economici per passare l’estate lontana dalla città, offrendo un servizio fondamentale e oggi assai attuale considerando, ripetiamolo, la concomitanza dei mutamenti climatici e dell’accentuarsi delle diseguaglianze sociali. 

Presidi di equità, socialità e salute, i centri balneari si stanno trasformando da spazi pubblici e popolari a servizi sportivi a pagamento. 

Questi impianti, come molti servizi fondamentali, non sono redditizi, per questo sono sempre stati intesi come offerta pubblica sociale. Il contributo pubblico, esito di contributi cittadini, è invece ormai considerato un semplice e ingiustificato aggravio per le casse del Comune, e non un investimento sociale, essenziale per la socialità, il benessere, la salute e dei cittadini. Le risorse necessarie a riaprirli “non ci sono”, si dice spesso, ma è una questione di priorità. Per le olimpiadi invernali il comune di Milano ha trovato, in tempi rapidissimi, una cifra compresa tra gli 80 e i 100 milioni di euro per coprire gli extracosti di opere come l’Arena Santa Giulia e il villaggio olimpico. Opere che per un paio di mesi saranno utilizzate per le atlete e gli atleti olimpici, ma che poi rimarranno di proprietà privata, una proprietà privata che nel futuro raccoglierà decine e decine di milioni di euro. 

Costruire una comunità “esigente” 

Occuparsi di come le persone passano l’estate in città, è un dovere della politica, così come dovrebbe essere nella sua ragione d’essere la capacità di trovare soluzioni alternative ai problemi. Vasche temporanee e convenzioni con strutture private per l’accesso ai centri sportivi dei più fragili, sono solo alcune possibili alternative, neanche troppo creative. 

Non è questione solo di piscine, né solo di caldo. È questione di giustizia sociale, di priorità, di diritti. Costruire una comunità esigente — capace di pretendere accesso, salute, spazi — è il primo passo per difendere ciò che viene silenziosamente smantellato. Esigere, secondo la Treccani, significa “richiedere, pretendere qualche cosa in virtù di un diritto che si ha o si crede di avere”. Se il tempo libero è un diritto, senza infrastrutture pubbliche e accessibili dove poterlo esprimere, che diritto è? Se non esistono luoghi del tempo libero allora, il tempo libero, che tempo è? 

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