Educare contro ogni determinismo sociale


Articolo tratto dal N. 49 di Scuola privata Immagine copertina della newsletter

Povertà educativa. Da quando è comparso questo termine è in corso una lotta tra due interpretazioni: la povertà educativa è una variante della povertà economica; la povertà educativa è l’assenza o carenza di occasioni educative e di crescita offerte dalla famiglia, dal sistema sociale, dalle istituzioni. Nel primo caso la povertà educativa è un sottoinsieme circoscritto della povertà assoluta, nel secondo caso è l’intersezione dell’area sociale della povertà con l’area sociale dell’agio o addirittura del privilegio: da un lato quei poveri che sperimentano la scarsità di risorse educative, dall’altro quei ricchi che sperimentano la povertà delle relazioni, la scarsa significanza del sistema educativo. Nel primo caso la povertà educativa si accompagna a dispersione scolastica, devianza, aggressività, comportamenti antisociali, nel secondo caso si accompagna a varie forme di disagio psichico, demotivazione, depressione, ritiro sociale semplice o estremo

Capire la povertà educativa 

Dunque esaminare il ruolo della povertà educativa potrebbe portare a una riflessione sul ruolo dell’educazione nella nostra società, potrebbe spingere anche la borghesia, anche i ceti agiati a interrogarsi sul sistema educativo vigente nelle famiglie, nella società, nelle istituzioni. 

L’idea di educazione che in modo consapevole o inconsapevole accomuna il mondo adulto – ricchi e poveri – e le istituzioni educative è che l’educazione è necessaria per prevenire l’inevitabile degrado dei comportamenti dei giovani lasciati a se stessi: immoralità, libertinaggio, sensualità senza freni …. Se ancora oggi in tutto il mondo i ricchi preferiscono affidare i propri figli a scuole di ispirazione religiosa è perché in ogni religione i preti sono tali perché mortificano la carne, perché saprebbero tenere a freno le passioni per se stessi e per le giovani persone. Non c’è bisogno di scomodare Foucault per sapere che il fine principale della scuola sembra essere “sorvegliare e punire”. I provvedimenti e le dichiarazioni del ministro dell’Istruzione Valditara sembrano sposare questa linea.

Un’altra idea di educazione 

C’è un’altra idea di educazione che è stata oggetto di attenzione e dibattito fin dagli inizi della moderna scuola di massa a metà del seicento: l’educazione serve a sostenere i processi di crescita, ad aiutare la giovane persona a diventare sovrana, a essere padrona di sé. Educare viene riportato alla sua radice etimologica di trarre fuori. In questa visione l’educazione scommette contro ogni determinismo sociale, quello che confina sia i poveri sia i ricchi nel ripetere il destino dei padri. Educare significa trarre fuori da destini prestabiliti, da cornici sociali esistenti. Il lavoro educativo è un lavoro creativo per gli educatori e per la giovane persona. Viceversa insegnare nella sua radice etimologica significa inculcare, ficcare dentro la mente i segni con cui leggere il mondo esistente e solo quello.  

La contraddizione di una istruzione che pretende di irreggimentare le energie giovanili proprio quando queste si manifestano in una continua erranza esplorativa e creativa c’è sempre stata ed è testimoniata soprattutto dagli artisti che hanno rotto gli schemi formali preesistenti, dai poeti, dai folli. La novità è che fenomeni che per secoli sono stati nascosti sotto l’etichetta della devianza o della follia hanno una dimensione sociale dilagante che mette in discussione il sistema educativo ma è proprio per questo che ancora oggi divulgatori, giornalisti e commentatori improvvisati preferiscono trattare la povertà educativa come fenomeno folkloristico riguardanti gli emarginati, i poveri, le periferie. 

Tra i motivi per cui la povertà educativa si estende a zone dell’agio sociale è la violazione del “contratto narcisistico” da parte delle famiglie. Il contratto narcisistico consiste nella disposizione dei genitori nel sostenere l’autostima dei figli anche quando questi hanno delle difficoltà, stabilendo una priorità degli affetti sulle prestazioni. Quando i genitori affidano completamente il sostegno dei figli ai risultati scolastici o comunque ai risultati di una qualche competizione stanno violando il contratto narcisistico guardando le prestazioni piuttosto che la persona e altrettanto fa la società esaltando i sistemi di competizione piuttosto che quelli di cooperazione.

La giovane persona in questo modo è isolata e non è coinvolta in nessuna relazione significativa, nessuna esperienza di senso, si trova in un “deserto dei significati”, disorientato e privo di volontà. A molti piace dire che i giovani affetti da “noia esistenziale” hanno avuto troppo, non hanno faticato abbastanza, non hanno conosciuto la vera sofferenza. È vero il contrario, sono giovani che non hanno ricevuto nulla di significativo, che hanno vissuto un narcisismo consumistico senza poter vivere un affetto autentico. Per educarli bisogna rincarare la dose: punirli ancora di più, escluderli ancora di più. Facciano pure Valditara ed i suoi seguaci: stanno rovinando innanzi tutto i propri figli. 

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