La politica culturale dell’Ungheria nell’era di Viktor Orbán, iniziata quindici anni fa con il suo ritorno al governo, comprende l’affidamento di istituzioni culturali a figure non necessariamente capaci e spesso dalla levatura intellettuale scarsa o del tutto assente. L’importante è che questi ultimi siano fedeli al sistema e facciano da cinghia di trasmissione dei suoi “ideali”. Si parla di teatri, musei, enti che avrebbero la funzione di promuovere la letteratura ungherese, magari anche all’estero, per un confronto con altre realtà culturali. A capo di varie istituzioni di questo tipo sono stati nominati personaggi animati dall’intento di incentivare opere che si concentrino sulla non ben definita spiritualità ungherese, sui valori tradizionali di patria, chiesa e famiglia, su valori e tradizioni nazionali.
Il tutto ha portato ad uno scadimento dell’offerta culturale e a contribuire in modo rilevante all’intento manipolatorio del potere nei confronti dell’opinione pubblica. D’altra parte, Orbán si rende conto dell’importanza del settore e, dal suo ritorno al ruolo di primo ministro, si è impegnato a realizzare un controllo sempre più esteso e capillare sulle diverse manifestazioni della vita pubblica, sull’informazione, sulla cultura, con vantaggi per sé e gravi danni sociali e culturali al paese.
Il Pride contro Orbán
In quest’ultimo periodo l’Ungheria è stata al centro dell’attenzione europea per il Budapest Pride che era stato vietato da una legge criticata duramente da Bruxelles e che però si è svolto lo scorso 28 giugno con la partecipazione di circa 200.000 persone venute anche da altri paesi, tra esse delegazioni di eurodeputati e parlamentari e rappresentanze di associazioni attive nel campo dei diritti civili. Un successo, così è stata definita la manifestazione dai suoi organizzatori, una risposta ben data a una legge che voleva interdire la sfilata per difendere i più giovani e aiutarli a non fare scelte sessuali “sbagliate” in termini morali e pratici: la patria ha bisogno di figli, dice la propaganda del sistema, a maggior ragione in questi anni di flessione demografica che richiedono la valorizzazione della cosiddetta “famiglia tradizionale”. Il divieto concepito nei confronti del Pride doveva avere la funzione, secondo il governo, di impedire manifestazioni pubbliche che inneggino all’omosessualità e la diffondano. Come se si trattasse di un virus. A questo proposito la disposizione in oggetto ha previsto, com’è noto, sistemi di riconoscimento facciale e ammende salate per i “disobbedienti”. Il corteo però c’è stato e, come detto, ha richiamato gente di varia nazionalità, tanto da farne un evento europeo. O, per dirla con le parole del primo ministro Viktor Orbán, “una manifestazione ripugnante e vergognosa” organizzata da Bruxelles e dall’opposizione ungherese, un trionfo del cattivo gusto. Uomini vestiti da donna con parrucche e tacchi a spillo, volantini sulle terapie ormonali; per lui e per i suoi, “questo non è orgoglio, è vergogna”.
Etica dell’uomo forte e lotta alle ideologie di genere
Invadendo il campo scolastico e dell’educazione, il governo ha vietato, con una legge, di trattare il tema dell’omosessualità in presenza di minori, nelle scuole, in tv prima delle 22.00, e di esporre nelle librerie apertamente testi che si occupino di questo argomento. Tutto ciò per preservare i più giovani dalle già menzionate “scelte fuorvianti”. Si tratta di uno dei modi con i quali l’esecutivo alimenta la paura e gli atteggiamenti ostili nei confronti di qualsivoglia diversità: sessuale, religiosa, etnica e via discorrendo, provvedendo a chiudere la popolazione, a cominciare dai più giovani, in una cappa fintamente protettiva che è solo una gabbia di pregiudizi e di non conoscenza. Così si incentiva la “cultura” dell’isolamento e della diffidenza, a partire dalle scuole per le quali il governo ha fatto riscrivere i libri di testo delle varie materie di studio, pubblicati e diffusi da case editrici e agenzie di fiducia del medesimo. Libri contenenti narrazioni che distorcono la realtà storica del paese, soprattutto in termini di storia contemporanea, e che incoraggiano la visione di un’Ungheria sempre aggredita e tuttora bisognosa di essere difesa da pericoli esterni. Cosa che incentiva una sindrome da accerchiamento.
Vi sono poi altri libri scritti con l’intento di valorizzare il ruolo della “famiglia tradizionale”, ruoli e differenze di genere con tanto di argomentazioni sulle attitudini tipiche maschili e femminili. Con Orbán al “comando”, nelle scuole ungheresi si indica come mansione principe della donna la cura della famiglia e la sua generosità nel dare figli alla patria. Per il resto, il sistema di potere concepito e guidato dall’ ”uomo forte d’Ungheria”, dichiara senza mezzi termini la sua ostilità nei confronti delle “ideologie di genere” e nell’attacco da esso sferrato anni fa all’Accademia Ungherese delle Scienze per assicurare l’istituzione al suo controllo, ha imposto una linea tesa a scoraggiare gli studi di genere. Questo vale anche per le università che non sono state risparmiate dalla politica culturale del premier e dei suoi. Una politica contestata dalla società civile e che in questi ultimi anni ha portato in piazza più volte insegnanti e famiglie, con i primi a lamentare non solo gli scarsi salari ma lo svuotamento di significato della loro professione. Uno svilimento che li vede obbligati a seguire pedissequamente programmi che sanno di propaganda e di lavaggio del cervello.