I risultati dell’indagine condotta da Cluster17 per il CeSPI nel marzo 2025 sono inequivocabili: per la maggioranza degli italiani, l’immigrazione è percepita come un fenomeno mal gestito. L’86 % ritiene inefficace l’integrazione degli immigrati in Italia, mentre il 70 % giudica eccessivo l’attuale livello dei flussi migratori. Un doppio giudizio che attraversa tutte le fasce d’età, le classi sociali, le aree geografiche e persino una parte degli elettorati più inclini all’apertura.
Ma questo rifiuto non è né omogeneo né assoluto. Quando si analizzano le risposte sugli effetti dell’immigrazione, lo scenario si complica. Il 57 % riconosce un impatto economico positivo, in particolare nei settori chiave dell’agricoltura (77 %), dell’edilizia (55 %) e dei servizi alla persona (51 %). E oltre la metà degli intervistati (51 %) ammette che un aumento dell’immigrazione potrebbe essere necessario per affrontare l’invecchiamento della popolazione.
In altri termini, gli italiani non negano la realtà né l’utilità dell’immigrazione. Ciò che contestano è la mancanza di governo del fenomeno. A essere respinta è un’immigrazione vissuta come imposta, priva di regole, mal integrata. È una distinzione cruciale, che apre lo spazio per politiche più chiare, più leggibili, più incisive.
Anche il tema dell’identità culturale riflette questa tensione. Il Paese si divide perfettamente: il 47 % ritiene che l’immigrazione rappresenti una minaccia per l’identità italiana, mentre il 47 % la considera un arricchimento. Non si tratta solo di ideologia: il divario è anche generazionale, territoriale, legato all’esperienza concreta. Nel Sud prevale il rifiuto, mentre nel Centro cresce l’accettazione della diversità.
Quando si chiede quali priorità dovrebbe adottare la politica, emergono due richieste precise: migliorare concretamente l’integrazione (40 %) e controllare meglio i flussi migratori (40 %). Due esigenze che delineano una via intermedia, trasversale rispetto agli schieramenti tradizionali.
La questione della sicurezza cristallizza queste ambivalenze. Il 70 % degli intervistati crede che esista un legame tra immigrazione e insicurezza, di cui il 42 % lo afferma in modo netto. È un dato che non si può ignorare. Non esprime solo una paura irrazionale, ma un sentimento legato a contesti in cui lo Stato è percepito — ed è questo che conta — come assente o inefficace. Anche qui, più che una domanda punitiva, si coglie una domanda di ordine, di regole, di affidabilità istituzionale. Dove lo Stato si ritira, cresce la paura. E con la paura, il rifiuto.
Questo sondaggio non fotografa un’opinione chiusa, ma un’attesa di decisioni. Gli italiani non oppongono necessariamente apertura e sicurezza, immigrazione e coesione. Ma vogliono sapere chi entra, a quali condizioni, con quali diritti e quali doveri. In assenza di risposte, a imporsi saranno i discorsi più semplicistici.
La sfida è chiara: l’opinione pubblica è lucida, spesso critica, ma non ostile per principio. Sa che l’immigrazione resterà. Ma non accetta più che le venga presentata come una fatalità o come una virtù astratta. Per tornare a credere in un progetto collettivo, chiede punti fermi, protezione, efficacia. Solo a queste condizioni potrà emergere un consenso largo. Non su un’immigrazione idealizzata, ma su un’immigrazione regolata — e su un’integrazione che finalmente abbia una possibilità di successo.