Libri, scuola, libertà: la vera posta in gioco

approfondimento


Alessandro Laterza Alessandro Laterza
Giuseppe Laterza Giuseppe Laterza
Articolo tratto dal N. 43 di Le mani sulla cultura Immagine copertina della newsletter

Il 27 giugno scorso l’Associazione italiana editori (Aie) ha inviato alla Casa editrice una sintetica comunicazione della segreteria tecnica del Ministero dell’Istruzione in cui “a seguito di alcune segnalazioni” il Ministro chiede all’Associazione “una verifica circa la correttezza delle informazioni e dei dati storici riportati nel libro di testo Trame del tempo, adottato in alcun licei italiani”, rimanendo in attesa di riscontro “riguardo agli eventuali provvedimenti che si intendono attuare”.

Il riferimento è a una delle due edizioni dell’opera – quella “agile” – a firma di Caterina Ciccopiedi, Valentina Colombi, Carlo Greppi, A questa iniziativa abbiamo risposto, il giorno dopo, con una lettera al direttore de “La Stampa”, Malaguti, raccogliendo numerose manifestazioni di solidarietà tra le quali quelle della Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea, della Società delle Storiche Italiane, della Associazione Italiana di Public History e, non ultima, della Fondazione Feltrinelli.

Ora, è bene ribadire che l’iniziativa ministeriale è mal impostata alla radice, basandosi sul tentativo di coinvolgere impropriamente l’Aie nell’operazione di verifica di un testo sgradito, sulla base di elementi non dichiarati e senza riferimenti puntuali. Di più non è utile dire per non impantanarsi in una polemica burocratica e regolamentare di dettaglio.

Costituzione e libertà di insegnamento 

Veniamo invece al punto di principio che non riguarda la Laterza, ma tutto il mondo della scuola e della cultura. 

Non è compito del Ministro vagliare i libri di testo in adozione nelle scuole. La scelta dei libri spetta a coloro che insegnano e questo – sia chiaro – non accade in beata solitudine ma in tutta trasparenza e in un contesto di confronto aperto e regolato. Nelle scuole secondarie di I e II grado, le preferenze di adozione vengono espresse e discusse nell’ambito dei dipartimenti che sovraintendono alle diverse aree disciplinari; le conseguenti deliberazioni devono essere poi validate sia nei consigli di classe sia nel collegio dei docenti presieduto dal dirigente scolastico. Si esercita così la libertà di insegnamento (art. 33 della Costituzione) che si misura con la libertà di espressione di chi scrive e pubblica i libri di testo (art.21 della Costituzione), non con altro o altri.

Protagonisti dell’insegnamento della storia (e di qualunque altra disciplina) sono i docenti e le docenti, non gli strumenti didattici di cui si servono. I libri di testo sono a loro proposti, non imposti, da case editrici e da autori e autrici che non hanno alcun vincolo se non il rispetto delle norme del Codice penale. Se accettassimo mai l’idea di un controllo ministeriale sui libri in qualsivoglia forma – l’anticamera della censura – breve sarebbe la distanza dalla richiesta di certificazione di conformità ideologica a chi i libri usa e fa usare in classe. È una logica inaccettabile e aberrante. 

Va peraltro ricordato che l’ambizione di purgare i libri di storia per la scuola è un pensiero ricorrente nell’estrema destra.  

Il problema dell’ “egemonia culturale” 

Il 15 settembre 2000 un gruppo di militanti di Azione studentesca (organizzazione giovanile di Alleanza nazionale) irruppero in una libreria romana e sconciarono le copie di un manuale apponendo il timbro “Falsi d’autore – non comprateli”. Un eminente esponente del partito, presente – forse casualmente, forse no – al raid, corse ai ripari rifondendo il libraio. Alle origini della spedizione punitiva un opuscoletto, intitolato Vogliamo una cultura pluralista. Campagna nazionale contro la faziosità dei libri di testo, inteso a svelare che nei manuali scolastici “non si ha difficoltà a incontrare mistificazioni, commenti faziosi, veri e propri falsi storici, fino ad arrivare a una evidente campagna elettorale”. Ricorda qualche cosa? 

Il 9 novembre del 2000 il Consiglio regionale del Lazio approva, su proposta del capogruppo di Alleanza Nazionale, Fabio Rampelli, una mozione, fondata sull’opuscoletto di Azione studentesca di cui sopra, che impegna il presidente Storace a “istituire una commissione di esperti che svolga un’analisi attenta dei testi scolastici evidenziandone carenze e ricostruzioni arbitrarie, da diffondere sull’intero territorio regionale” e a promuovere l’elaborazione di nuovi libri “da immettere nel circuito dell’istruzione pubblica e\o da distribuire gratuitamente alle famiglie”. La cosa, energicamente contrastata, andò a finire su un binario morto. Libro di Stato regionale a parte, anche questo episodio ricorda qualche cosa? 

Gli eventi del 2000 sono lontani nel tempo ma sono poi periodicamente riaffiorati in varia forma ma con slogan e stilemi ricorrenti. Ora, poi, con questo ossessivo problema della “egemonia culturale” della sinistra da scardinare e sostituire con quella della destra: uno sforzo gigantesco che allo stato ha generato un feroce assalto a poltrone, sedie, strapuntini, ma partorito un topolino, e anche un po’ anemico.

Per parte nostra l’unica egemonia che riconosciamo è quella delle scienze e della ricerca storica, nella consapevolezza che l’imparzialità non esiste (siamo inguaribilmente antifascisti) ma l’onestà intellettuale e di metodo esistono eccome. E dunque se l’attuale partito di maggioranza del governo (il Ministro dell’Istruzione deve tenersene fuori, s’è detto) ritiene che i libri scolastici Laterza e forse di altre case editrici sono inadeguati, solleciti le proprie forze intellettuali di area a ripensare e riscrivere la storia deponendo gentilmente l’idea di imporre agli altri come scriverla. Rispettati i princìpi costituzionali prima evocati, il confronto e la competizione non sono il più sano motore di libertà e pluralismo? 

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