Doveva essere il simbolo dell’efficienza, il super algoritmo capace di garantire il prof giusto al posto giusto, invece si è rivelato un meccanismo opaco, che moltiplica gli errori e viola i diritti, provocando ritardi nell’inizio delle lezioni e ricorsi a catena. Sono già decine le anomalie nelle nomine dei supplenti segnalate quest’anno alla Cgil, mentre alcuni provveditorati hanno annunciato «verifiche tecniche in corso». Succede dal 2020, anno in cui l’ex ministra dell’Istruzione e del Merito Lucia Azzolina ha digitalizzato le Gps, le graduatorie che regolano le supplenze annuali, e poi automatizzato il processo di selezione.
Prima, l’iter di nomina seguiva un rito collaudato, quasi liturgico. Un appuntamento fisso che si ripeteva ogni anno, dopo Ferragosto, negli uffici scolastici provinciali. Qui, in religioso silenzio, decine di aspiranti supplenti aspettavano in corridoio di essere chiamati all’appello. Si procedeva per ordine di punteggio e man mano che si varcava la stanza dei funzionari si firmavano i contratti, scegliendo tra i posti disponibili, fino all’esaurimento. «La logica era chiara. Chi aveva più punti meritava la cattedra, ma oggi non è più così. Devi piacere all’algoritmo», dice Marco Baragli. Quattro lauree e 27 anni di gavetta, Baragli ha varcato i cancelli delle scuole di molte regioni d’Italia. Un curriculum che avrebbe impressionato qualsiasi umano, ma che non basta più. «Ogni estate vivo nel terrore di non riuscire a trovare un lavoro a settembre», confessa.
Dall’analogico al digitale
Più veloce, più semplice, più giusta, assicurava Azzolina quando ha presentato la nuova procedura. Online il candidato indica titoli, materie, tipo di contratto e fino a 150 sedi di preferenza. Compilare il modulo, però, non è semplice. Sul web sono decine i corsi a pagamento per riuscire a districarsi in quello che Andrea De Giorgi, prof di filosofia, ormai diventato esperto in materia, definisce un esercizio di «micro ingegneria amministrativa» che raggiunge livelli parossistici nelle grandi città, come Roma, dove «sembra di mettere insieme puzzle da migliaia di pezzi», sostiene De Giorgi.
Le informazioni vengono poi date in pasto a un software che ha il compito di combinare in automatico domande, punteggi e cattedre vacanti, per arrivare al match perfetto. Cuore del sistema è l’algoritmo, cioè una serie finita di istruzioni che il software segue nell’assegnare i posti, ubbidendo alle regole fissate dal Ministero. In prima battuta, lo sviluppo è stato affidato a un consorzio di imprese composto da Enterprise Services Italia, una società informatica controllata dalla multinazionale statunitense Dxc Technology, e dal principale produttore di armi d’Italia, Leonardo.
Una macchina da 5,3 milioni di euro che in teoria avrebbe dovuto essere capace di gestire 850mila candidature. In pratica, il debutto, nel 2021, è stato un flop. Wired ha raccontato di cattedre andate a chi era meno qualificato. Supplenti che si erano proposti per il ruolo di sostegno incaricati di insegnare matematica, o viceversa. Una sistematica violazione della 104, la legge che tutela le persone diversamente abili e i loro familiari, garantendogli un posto di lavoro vicino. Un caos che il Mim è riuscito a sanare solo dopo mesi e ha richiesto un aggiornamento dell’algoritmo, costato 313mila euro e stavolta assegnato a Sogei, un’azienda che fornisce software alla pubblica amministrazione, controllata dal ministero dell’Economia e delle Finanze.
Le oscure scelte dell’algoritmo
Eppure, anche se in misura minore rispetto al passato, gli errori continuano. Senza alcuna forma di protesta possibile di fronte all’algoritmo, che tutto vede e poco sa, ma solo impotenza. «Mio figlio ha una grave disabilità, ma l’anno scorso ho preso servizio a decine di chilometri da casa. Non ho avuto scelta», racconta Irene, una docente di sostegno della provincia di Catania. Solo dopo mesi le hanno proposto un cambio di destinazione, ma non se l’è sentita: «Seguivo già una bambina e lasciarla per lei sarebbe stato un trauma», spiega. Non mancano le ripercussioni sulla vita degli studenti, come successo in una scuola della Sardegna, dove l’algoritmo non ha riconfermato Stefania nell’aula dove aveva già insegnato nei tre anni precedenti. L’hanno chiamata anche i genitori degli alunni, disperati, «ma io non ho potuto farci nulla», dice. Un problema costante è il mancato rispetto delle graduatorie.
Secondo sindacati e associazioni di categoria, però, il problema non è più tanto la tecnologia in sé quanto le scelte politiche e amministrative che ci sono dietro. Scelte che da una parte stabiliscono i metodi di calcolo e le priorità assegnate dall’algoritmo stesso, dall’altra consegnano al software una mole di lavoro enorme. Uno dei nodi principali è il modo in cui funziona l’accoppiata insegnante-cattedra, in base alle sedi di preferenza dichiarate di volta in volta dai candidati.
Tutto avviene al buio: non solo i prof non possono sapere quali sono le scuole che hanno effettivamente bisogno al momento della domanda, ma capita anche che l’algoritmo entri in funzione quando la lista delle cattedre vacanti non è ancora completa. «È come giocare a poker bendati», sintetizza Riccardo Berutti, insegnante precario e portavoce del Movimento Esp (Educazione senza prezzo). «Compili l’elenco, ma magari le scuole che scegli non hanno posti disponibili, o si liberano solo dopo, e il software non torna indietro, ti considera rinunciatario senza assegnarti più alcuna cattedra per il resto dell’anno», spiega. Così docenti con punteggi molto alti, come Baragli, rischiano di rimanere senza lavoro solo perché non hanno indovinato la preferenza giusta. «Questo meccanismo – continua Berutti – fa sì che gli insegnanti, pur di ottenere una nomina, selezionino più località di quelle che in realtà possono andare a coprire, ma segue una pioggia di rinunce. L’algoritmo torna in funzione più e più volte, a dispetto dell’efficienza». L’anno scorso nella provincia di Caltanissetta, per esempio, le nomine complessive sono state 623, le rinunce 52: l’8,35 per cento.
Le sacche di precariato
«Impossibile poi verificare in che modo i diritti dei prof siano in effetti rispettati perché è impossibile testare l’algoritmo in modo indipendente», aggiunge Antonio Antonazzo, dirigente del sindacato degli insegnanti Gilda. Diletta Huyskes, ricercatrice, esperta di etica delle tecnologie e dell’impatto sociale delle intelligenze artificiali, in particolare nei processi decisionali, centra il punto: «Rispetto al resto d’Europa, in Italia siamo indietro sulla digitalizzazione della pubblica amministrazione, ma ci ritroviamo già ad affrontare il problema dell’automazione. Tutti rincorrono l’innovazione, sfruttano algoritmi per velocizzare processi decisionali. Lo fanno però senza una governance, senza una valutazione di impatto sulla vita delle persone, senza un controllo né una verifica sui risultati da parte degli esseri umani».
Basterebbero piccoli accorgimenti per rendere il sistema più giusto, come promesso dalla ministra Azzolina, ma il vero grande tema rimane un altro. «Le supplenze da assegnare sono ormai tantissime, qualsiasi sistema farebbe fatica a gestirle», annota Manuela Calza, componente della segreteria nazionale della Federazione lavoratori della conoscenza (Flc) della Cgil, parlando di «sacche di precariato, frutto di una precisa strategia politica». I numeri esatti sono da anni al centro di una contesa, impossibili da verificare. La Cgil calcola che i precari siano circa 250mila, tra docenti e personale tecnico e amministrativo.
Cifre però contestate dall’attuale ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara che quest’anno ha annunciato la stabilizzazione di 40mila insegnanti, ma solo a mezzo stampa. «Quando però chiediamo dati ufficiali su cattedre vacanti e assunzioni, rifiuta di fornirli», ribatte Calza. Una menzione a parte meritano i docenti di sostegno in deroga, cioè che non rientrano nell’organico di diritto, ma vengono nominati di anno in anno. Secondo le stime, sono 130 mila. Questo significa – conclude Calza – che «più del 50 per cento degli insegnanti di sostegno è precario per scelta del governo». L’algoritmo è promosso con riserva, la politica no.