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Le contraddizioni nel messaggio del fronte sovranista internazionale


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Per il ciclo Di-Segno Nero


Mentre le forze progressiste sembrano sempre più in difficoltà nel dettare un’agenda pubblica, si rafforza in tutto il mondo la destra radicale. La chiave è una comunicazione focalizzata su pochi temi mostrati come minacce nazionali. Ma siamo sicuri che questa sia così solida come appare?

A pochi giorni dalla storica sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha abolito Roe v. Wade sul diritto federale all’aborto e la conseguente diffusione in molti Stati di leggi che non solo negano questo diritto ma esercitano un controllo sempre più forte sul corpo e la libertà delle donne, è difficile non riconoscere l’egemonia che la destra radicale sta esercitando nei Paesi democratici.

Roe v Wade

La decisione della Corte non è infatti un episodio isolato o limitato agli Stati Uniti, ma è parte della progressiva radicalizzazione dei partiti conservatori e della centralità che l’estrema destra ha assunto in Europa e non solo.  Marine Le Pen è una candidata credibile alle elezioni presidenziali e ha ormai sostituito i gollisti in Francia, partiti sovranisti sono in testa nei sondaggi in Italia e stabilmente al potere in Ungheria e Polonia, mentre il nazionalista indù Narendra Modi governa l’India dal 2014.

 

Se per anni è stata sostenuta la necessità di convergere al centro per conquistarne l’elettorato, quest’ultimo si è chiaramente spostato a destra dimostrando che i partiti possono ancora plasmare le preferenze dei cittadini e che le posizioni moderate non sono sempre quelle vincenti.

 

La destra radicale ha segnato le nostre società perché ha imposto un’agenda politica e una visione della realtà che ha identificato temi politicamente rilevanti (diffusa precarizzazione, crisi migratoria e climatica, erosione dello stato sociale) come delle minacce agli interessi nazionali causate da istituzioni sempre più distanti dai cittadini. Se il successo di questo progetto politico è innegabile, visto anche il progressivo allontanamento degli altri partiti dalle classi popolari di cui dovrebbero rappresentare gli interessi, resta da capire se sia un fenomeno inarrestabile o se vi sia lo spazio per contrastarlo.

Il ciclo di incontri Di-Segno Nero, che la Fondazione Feltrinelli ha dedicato allo studio della destra radicale in Europa, fornisce strumenti importanti per rispondere a questa domanda almeno relativamente al contesto europeo. In questa breve analisi cercherò di mettere in luce questi aspetti focalizzandomi in particolare sul progetto politico sovranista e sui problemi che un’alternativa progressista dovrebbe superare per contrapporvisi.

Un messaggio forte ma non comune

Se per anni si è sottostimato il valore e la rilevanza del sovranismo e della svolta ultraconservatrice che ha caratterizzato la destra europea, l’ingiustificata sorpresa di fronte al suo successo ha impedito di vedere le tensioni che riguardano sia l’apparato ideologico di questo campo che le sue strategie politiche. Cerchiamo di chiarire questi aspetti.

Come giustamente messo in luce da Giorgia Serughetti, il vento conservatore si fonda su tre pilastri (nazione, famiglia, libertà) ma il modo in cui viene declinato il concetto di libertà è così problematico che si traduce in una critica del liberalismo e in una difesa dell’ordine neoliberale. Questa prospettiva non vede una tensione tra il fatto di contrastare il politicamente corretto come forma di limitazione alla libertà e difendere sistemi politici che mirano ad avere un controllo sulla libera circolazione delle informazioni o sul corpo e le scelte delle donne. La lettura strettamente individualista della libertà porta inoltre molti di questi partiti, che sostengono di difendere gli interessi dei più svantaggiati, a non adottare politiche redistributive ma a favorire proposte, come la flat tax o l’eliminazione del reddito di cittadinanza, che vanno a vantaggio di chi ha maggiori risorse.

Queste ambiguità non sono le uniche che caratterizzano il campo sovranista che è anche, come sottolineato da Marco Tarchi, profondamente diviso rispetto a quale sia la comune alternativa da contrapporre all’attuale ordine delle cose.

Se è infatti chiaro che la destra radicale europea vede nell’Unione europea il nemico da contrastare in quanto rappresentante degli interessi delle élites, diverse e contraddittorie sono le proposte che i vari partiti sovranisti sostengono come alternativa: una confederazione di stati nazionali (Rassemblement National di Marine Le Pen e FdI di Giorgia Meloni), un’unione che si richiami ai valori cristiani (Orban) o che riveda i suoi trattati sul controllo delle frontiere (Vox) fino ad arrivare all’idea di unione europea pre-Maastricht (Lega e Alternative für Deutschland).

Queste fratture sono diventate ancora più evidenti, sia nei leader che nei sostenitori di questi partiti, con lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina. Se prima di questo evento la rilevanza di Putin era chiara all’interno di questo campo, dopo l’inizio del conflitto il sostegno a Putin è diventato meno centrale e più divisivo.

Sembra quindi possibile concludere che l’estrema destra abbia una forte capacità di intercettare il sostegno dei cittadini e segnare il dibattito pubblico ma lo faccia attraverso messaggi che, se analizzati a fondo o posti di fronte alle sfide proprie dell’azione di governo, sono in profonda tensione tra loro. Resta da chiedersi come mai queste potenziali fratture non vengano sfruttate per contrastare il sovranismo.

Cambiare qui e ora

È sempre difficile riuscire a spiegare quali siano le ragioni per cui le ambiguità di una parte non vengano usate dagli avversari, e nel caso di un fenomeno complesso come quello sovranista risulta ancora più difficile. Bisogna infatti riconoscere che una delle sue grandi vittorie è stata quella di imporre la propria chiave di lettura all’analisi del campo politico (noi contro loro) portando partiti progressisti a considerarsi come alleati di movimenti che esprimono una forma di conservatorismo moderato (pensiamo al caso di Macron in Francia).

 

Nonostante queste difficoltà ci sono alcuni elementi che possono mettere in luce le difficoltà strutturali del campo progressista: il timore di affrontare temi potenzialmente divisivi e la miopia nei confronti degli interessi della classe popolare. Cerchiamo di chiarire rapidamente questi aspetti.

 

Angela Mauro sottolinea giustamente come un’attenta analisi delle proposte politiche permette di mostrare come i partiti anti-sovranisti abbiano stigmatizzato l’operato di leader come Salvini su immigrazione e controllo dei confini per poi condividerne le politiche. Questa ipocrisia ha impedito soprattutto ai partiti di sinistra di sviluppare una proposta politica su temi così sensibili che fosse in linea con il proprio orizzonte valoriale e rappresentasse un’alternativa credibile per i cittadini, e in particolare per i più svantaggiati, rispetto a quella sovranista.

La moltiplicazione di tematiche dominate dalla destra radicale e su cui la sinistra ha perso la propria voce ha impedito al campo progressista di sfruttare eventuali ambiguità dell’ideologia sovranista e lo ha allontanato sempre di più da quelli che sono gli interessi delle classi popolari. Se è vero, come sottolineato da Marc Lazar, che i partiti social-democratici non hanno sempre avuto il loro bacino elettorale all’interno di questo gruppo, il fenomeno è diventato più marcato negli ultimi anni.

 

Non solo non sono state adottate politiche redistributive che limitassero la diffusione delle diseguaglianze all’interno delle società europee, ma la prospettiva e gli interessi delle classi popolari sono state completamente misconosciute o trattate con sufficienza.

 

Il conflitto tra Russia e Ucraina, come messo in luce da diversi interventi di Di-Segno Nero, rischia di diventare un esempio paradigmatico di questo problema. La storica vicinanza a Putin ha generato difficoltà all’interno del campo sovranista, ma è fondamentale riconoscere l’asimmetria nei costi economici che le diverse fasce della popolazione dovranno sostenere durante il conflitto. Se questo non accadrà si rischia di riprodurre la stessa dinamica già vista durante la pandemia (asimmetria nei costi negata e assenza di soluzioni strutturali per affrontarla) e generare delle fratture sociali che rafforzeranno il campo sovranista e renderanno sempre più invisibili coloro che in democrazia dovrebbero essere ascoltati in quanto riconosciuti come pari: i cittadini e in particolare i più svantaggiati tra loro.

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