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PNRR e posizioni dei partiti. Un’analisi


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Quattro giorni fa Enrico Letta e Giorgia Meloni, leader rispettivamente della coalizione di centrosinistra e di centrodestra, sono stati ospiti del Corriere della Sera. Sulla web tv del quotidiano è andato in scena il primo vero faccia a faccia di questa campagna elettorale, e ci sono alte probabilità che questo confronto diretto rimarrà anche l’unico fra i due, al netto di quello a sei avvenuto fra i leader politici delle rispettive coalizioni, nella cornice del Forum Ambrosetti, a Cernobbio, ad inizio settembre. 

I toni pacati che hanno caratterizzato il confronto, definito “soft” dagli osservatori, hanno evidenziato posizioni concordi in relazione alla collocazione europeista ed atlantista dell’Italia, alle sanzioni alla Russia, al sostegno all’Ucraina, alle ricette per il caro-bollette, così come al “no” all’ipotesi di un governo di unità nazionale dopo il 25 settembre. Viceversa, al di là dei fisiologici e reciproci attacchi sul tema alleanze, sulle migrazioni e sulle riforme costituzionali,  le divergenze più nette fra i due sono sembrate quelle relative all’Unione Europea, al lavoro, al reddito di cittadinanza ed al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).  

Ed è proprio dalle scintille sul tema Pnrr che partirei per introdurre ed approfondire il contenuto e soprattutto le posizioni dei partiti in relazione al piano, un tema che è indubbiamente al centro del dibattito in questa atipica campagna elettorale estiva. 

Cos’è il PNRR 

Il Pnrr è il documento predisposto dal governo italiano con l’obiettivo di illustrare alla commissione europea come il nostro paese intenda investire i fondi del programma Next generation Eu.   

L’Italia è fra i paesi europei che riceveranno più fondi, ovvero 191,5 miliardi di euro divisi fra vere e proprie sovvenzioni (68,9 miliardi) e prestiti (122,6 miliardi). A questa cifra, già di per sé corposa, si devono aggiungere anche i 30,6 miliardi del piano complementare, stanziati dal governo lo scorso anno con un apposito decreto legge, ed anche i circa 14 miliardi di euro che il Belpaese otterrà  nell’ambito del programma di “Assistenza alla ripresa per la coesione ed i territori d’Europa” (React-Eu), ovvero un’integrazione delle dotazioni del Fondo europeo di sviluppo regionale e del Fondo sociale europeo.  

Il Pnrr, redatto seguendo le linee guida emanate dalla Commissione europea, prevede progetti di investimento organizzati in sei missioni:  

– 1: digitalizzazione, innovazione, cultura e turismo (circa 41 miliardi);  

– 2: rivoluzione verde e transizione ecologica (circa 60 miliardi);  

– 3: infrastrutture per una mobilità sostenibile (circa 25 miliardi); 

– 4: istruzione e ricerca (circa 31 miliardi);  

– 5: coesione e inclusione (circa 20 miliardi); 

– 6: salute (circa 15 miliardi).  

In parallelo ai summenzionati progetti di investimento, il piano contiene anche le riforme che il governo intende perseguire per modernizzare il paese. Riforme che devono rispettare una rigida timetable e che riguardano temi fondamentali quali la concorrenza e la giustizia (sia il processo penale sia quello civile). A titolo esemplificativo, già nell’ultimo trimestre di quest’anno sono previste, fra le altre, l’entrata in vigore della legge annuale sulla concorrenza, degli atti delegati per la riforma del processo civile e penale e la riforma del quadro in materia di insolvenza. 

È chiaro che la realizzazione delle riforme e più in generale la cosiddetta “messa a terra” del Pnrr rappresenta un passaggio decisivo per il futuro del Paese, non soltanto per la mole di risorse che verranno dispiegate ma anche per l’importanza capitale che il piano ricopre in qualità di volano per lo sviluppo del paese. 

A oggi l’Italia ha già ricevuto la prima tranche e, entro l’autunno, dovrebbe incassare anche la seconda. 

Le posizioni dei partiti  

In piena campagna elettorale, a poco più di una settimana dall’election day,  è interessante verificare quali siano le posizioni delle coalizioni e dei vari partiti sul tema Pnrr.  

A tale proposito, è degno di nota il progetto portato avanti dalla Fondazione Openpolis, una realtà che promuove progetti per l’accesso alle informazioni pubbliche, la trasparenza e la partecipazione democratica. In tema Pnrr la Fondazione ha realizzato un vero e proprio osservatorio, che mette a disposizione informazioni relative allo stato di avanzamento dei singoli progetti, oltre a spiegazioni dettagliate del piano, confronti fra i paesi europei ed analizza le posizioni dei partiti politici. In relazione a quest’ultimo punto, di seguito provo a sintetizzare le posizioni in campo.  

Centrodestra  

Senza ombra di dubbio la posizione che fino ad oggi ha destato più scalpore è quella espressa da Giorgia Meloni che, a seguito dell’Opa riuscita sul centrodestra, è stata percepita come quella della coalizione nel suo complesso. La leader di Fratelli d’Italia ha parlato apertamente della possibilità di rivedere le misure contenute nel piano, precisando solo successivamente come la volontà sia quella di rimanere all’interno del “recinto” tracciato dai regolamenti europei. 

Nell’“Accordo quadro di programma per un governo di centrodestra” sottoscritto da Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi moderati è presente un’intera sezione dedicata al PNRR, nella quale si fa riferimento al pieno utilizzo dei fondi, ad un uso efficiente dei fondi europei ed alla piena attuazione delle misure per il sud e per le aree depresse del paese. Inoltre, la coalizione lancia anche un monito in relazione sia all’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime sia per quanto riguarda i ritardi di attuazione del piano. 

Passando dal programma comune alle dichiarazioni degli altri due leader del centrodestra, è evidente come anche la Lega e Forza Italia, partiti che diversamente da Fratelli d’Italia erano all’interno del perimetro della maggioranza del governo Draghi, hanno aperto alla possibilità di modificare il Pnrr, addicendo alla mutata situazione geopolitica ed ai conseguenti rialzi del costo delle materie prime. 

Tuttavia, le posizioni dei due partiti appaiono più sfumate: se da un lato la Lega è più focalizzata sull’aumento del costo delle materie prime che renderebbe irrealizzabili, de facto, le opere già inserite nel piano, d’altro lato Forza Italia richiede, per il tramite del suo vicepresidente e coordinatore Antonio Tajani, un margine di flessibilità sull’utilizzo dei fondi, mantenendo invariate le risorse destinate ai singoli territori.  

Tuttavia, è utile ricordare come la Commissione Europea stessa abbia già considerato una qualche forma di flessibilità. Ad esempio è previsto che, nel caso in cui milestone (traguardi) o target (obiettivi) diventino impossibili da raggiungere, i governi nazionali possano presentare versioni riviste dei piani.   

Giorgia Meloni
Giorgia Meloni

Centrosinistra 

Passando invece ad analizzare quanto riportato, in tema di PNRR, nei programmi dei partiti della coalizione di centrosinistra (che, diversamente dal centrodestra, non ha presentato un programma comune), è immediato appurare l’esistenza di forti divergenze. Infatti, la joint venture fra Sinistra Italiana ed i Verdi, ribattezzata sotto il simbolo del cocomero (rosso dentro e verde fuori) è critica verso alcuni aspetti del piano e parla apertamente di una sostanziale revisione del Pnrr.

Il loro focus è relativo alle risorse da destinarsi a quel “verde fuori”, ovvero alle tematiche ambientali ed alla transizione ecologica (alle quali oggi l’Italia destina una percentuale di fondi poco più alta rispetto al tetto minimo previsto dal regolamento Ue). Nel programma si fa riferimento, a titolo esemplificativo, alla predisposizione di meccanismi premiali nella distribuzione dei fondi con particolare attenzione alle imprese che investono nell’efficientamento energetico ed in fonti rinnovabili, oltre che all’adeguamento del piano alle necessità di adattamento climatico. 

D’altronde, il tema delle ondate di calore e della siccità evidenzia non poche sovrapposizioni con un tema cardine del programma della componente più a sinistra della coalizione: le disuguaglianze economiche, sociali e territoriali. Un articolo uscito nell’agosto 2019 sul New York Times  evidenzia come, negli States, nelle calde giornate estive la temperatura possa variare addirittura di 20 gradi fra quartieri differenti della medesima città. E sono proprio i quartieri più poveri quelli che devono sopportare maggiormente il peso del caldo e di temperature sopra la media.  

Tornando al programma, le rimostranze e le ipotesi di modifica del piano avanzate da Sinistra Italiana e Verdi riguardano anche la scarsa partecipazione civica sia nella redazione sia nell’applicazione delle misure.  

Volgendo l’attenzione al principale partito della coalizione, il Partito Democratico, si evince come l’intenzione sia quella di blindare il Pnrr. Una volontà granitica che si desume sia da quanto contenuto nel programma sia dalle parole utilizzate dal leader: Enrico Letta, infatti, ha definito il Pnrr “stella polare”.  Il programma contiene altresì riferimenti al rispetto delle quote destinate alle regioni del sud Italia, così come al prosieguo delle varie misure contenute nel piano stesso ed al potenziamento del progetto Polis, atto a promuovere la coesione economica, sociale e territoriale nei piccoli centri urbani e nelle aree interne del Paese.   

È degna di nota la diatriba nata negli ultimi giorni fra un candidato di spicco del PD, Carlo Cottarelli, e Giorgia Meloni in relazione al PNRR. L’economista, a seguito di una dichiarazione negativa della leader di Fratelli d’Italia sul tema prestiti e tassi di interesse, ha fatto notare alla premier in pectore come il tasso sui prestiti, seppur variabile in relazione alle condizioni di mercato, sia più basso di circa 2 punti rispetto a quello che ad oggi viene pagato sul debito nazionale, dunque conveniente.  

Anche Più Europa porta avanti con convinzione l’idea di proseguire con il Pnrr nel solco tracciato dal governo Draghi, posizione simile a quella espressa nitidamente nel copioso programma del Terzo Polo, guidato dall’ex alleato Carlo Calenda.  

Enrico Letta
Enrico Letta

Terzo Polo  

La coalizione Calenda – Renzi, che dedica una specifica sezione del proprio programma al Pnrr, è focalizzata sul rispetto dei tempi previsti e sull’adozione di accorgimenti atti ad un’efficace attuazione del piano, ed avanza solo marginalmente l’ipotesi relativa al potenziamento degli investimenti su alcuni specifici capitolati (istituti tecnici superiori, imprenditoria femminile, gestione dei rifiuti ed economia circolare, fra gli altri).  

renzi, boschi e calenda
Matteo Renzi, Carlo Calenda e Maria Elena Boschi

Movimento 5 Stelle  

Spulciando il programma del Movimento 5 Stelle si trovano davvero pochissimi riferimenti al Pnrr, focalizzati principalmente sui temi della trasparenza e del controllo dei fondi. Questa evidenza stride con il fatto che Giuseppe Conte sia stato colui che, da Presidente del Consiglio, ha concluso le trattative sul piano con l’Europa. Passando dal programma alle dichiarazioni del leader, le parole delle ultime settimane sembrano aperturiste in merito alla possibilità di revisione del piano.  

Parte integrante del Pnrr è il “Superbonus”, una misura che è stata finanziata in parte sia dal piano sia dal fondo complementare e che Conte sta metaforicamente portando in giro per l’Italia in questa campagna elettorale, come una vera e propria stella sul petto, al pari della misura cardine del Movimento 5 Stelle, ovvero il reddito di cittadinanza. 

Il tema “Superbonus” è tornato al centro del dibattito proprio negli ultimi giorni e ci riporta dritti a quelli che sono, di fatto, gli atti conclusivi di questa legislatura. Infatti, martedì scorso Palazzo Madama ha dato il via libera al Dl Aiuti bis, decreto che ad agosto era rimasto in stallo principalmente a causa del mancato accordo su una questione relativa proprio al  “Superbonus”. Fra le varie misure contenute nel decreto figurano la proroga dello smart working nel settore privato per i lavoratori fragili e per chi ha figli under 14, l’aumento del tetto di impignorabilità delle pensioni a circa il doppio dell’assegno sociale, la rivalutazione del 2% dei trattamenti pensionistici sotto una certa soglia (2,700 euro al mese lordi circa) ed il taglio del cuneo fiscale, seppur temporaneo, per i lavoratori con redditi sotto i 35 mila euro lordi.

Inoltre, un emendamento del decreto contiene la nuova disciplina relativa alla responsabilità in solido nella cessione dei crediti dei bonus edilizi e “Superbonus”, la quale si configura solamente se il concorso nella violazione avviene “con dolo o colpa grave”. 

Il decreto contiene anche un primo, seppur timido, argine contro i rincari delle bollette ed i prezzi dei carburanti. Ulteriori misure in questa direzione, quali l’aumento del tetto Isee per il bonus sociale ed il rafforzamento del bonus sia per le imprese gasivore ed energivore sia per quelle con potenza sotto i 16,5 kw, saranno discusse in Consiglio dei Ministri entro il fine settimana, per poi trovare auspicabilmente spazio nel Dl aiuti ter, che sarà finanziato quantomeno parzialmente dall’extra gettito Iva e dalle tasse sugli extra-profitti delle energetiche. 

Ma, prima, il Dl Aiuti bis dovrà tornare al Senato, a causa dell’eliminazione e della successiva reintroduzione, con un emendamento proposto dal governo, del limite dei 240 mila euro per gli stipendi dei dirigenti pubblici. Infatti, il tetto stipendiale era stato rimosso in extremis nelle pieghe del decreto ed ha fatto andare su tutte le furie il premier Mario Draghi. È con questo episodio davvero triste che, agli albori di un autunno che si prospetta di fuoco, tramonta la XVIII legislatura. Un atto che, di certo, non contribuirà a migliorare la fiducia nei partiti e la partecipazione al voto degli italiani. Stando agli ultimi sondaggi, quella alle porte sarà l’elezione politica con il più alto tasso di astensionismo della storia repubblicana.  

Giuseppe Conte
Giuseppe Conte

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