La Lombardia è la regione più ricca d’Italia, eppure non è in grado di competere con nessuna regione europea. Da un lato, Milano è spinta da un modello di sviluppo a trazione immobiliare che non fa altro che aumentare le disuguaglianze tra capoluogo e regione; dall’altro, intensificando i danni in una delle zone più inquinate d’Europa, la piattaforma produttiva lombarda è ben lontana da un modello di sviluppo sostenibile. Quali processi attivare per far fronte alle sfide che ci attendono?
Durante la campagna elettorale regionale 2023 si misurano diverse prospettive sullo sviluppo della Lombardia. Per rendere più esplicite queste idee e per alimentare la discussione pubblica mi sembra importante richiamare la natura delle sfide che il governo regionale si trova ad affrontare in questa fase difficile e incerta.
Il punto fondamentale è l’assunzione della natura plurale del territorio lombardo, nel quale convivono contesti e modelli di sviluppo diversificati. La distinzione non è solo tra grandi aree urbane e aree interne e marginali: la geografia della varietà è assai più complessa.
Da una parte, Milano sta sempre più “divorziando” dal suo territorio, spinta da un modello di sviluppo a trazione finanziaria e immobiliare, a mio avviso alla lunga insostenibile, che aumenta progressivamente le disuguaglianze tra la città capoluogo e la regione urbana, ma anche al proprio interno.
Dall’altra, le aree montane, a loro volta assai differenti tra loro, oscillano tra l’assunzione di un modello di sviluppo turistico ecologicamente insostenibile (anche a fronte della crisi climatica di cui non sembriamo cogliere la natura drammatica e per molti aspetti irreversibile) e la progressiva marginalizzazione fatta di spopolamento e di abbandono.
Nella “Lombardia di mezzo” è possibile riconoscere molte altre forme di organizzazione degli insediamenti e delle economie locali: dalle altre città grandi e medie spesso in cerca di nuove identità, ma anche ricche di straordinarie risorse economiche, sociali e culturali alle aree marginali della bassa lombarda (la Lomellina e l’Oltrepò mantovano, che la Regione oggi riconosce come aree in grave crisi); dai distretti industriali della piattaforma pedemontana spesso a rischio di desertificazione produttiva e investiti dall’invasione della grande logistica ai contesti periurbani della regione urbana milanese nei quali crescono fenomeni di impoverimento e disuguaglianze sociali e spaziali.
Un primo nodo per una nuova stagione di governo è l’analisi puntuale di questa varietà di situazioni, al fine di costruire politiche di sviluppo e coesione sensibili alla varietà, capaci di coinvolgere attivamente le risorse sociali ed economiche, ma anche di proporsi esplicitamente di ricomporre i divari, per usare un’espressione usata in un libro importante pubblicato di recente nell’ambito delle attività del progetto Dipartimenti di Eccellenza – “Fragilità territoriali” del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano.[1]
Sullo sfondo, la grande crisi ecologica della pianura Padana, una delle aree più inquinate d’Europa, impone una radicale ridefinizione del modello di sviluppo lombardo e un nuovo protagonismo sul fronte della riconversione ecologica della grande piattaforma produttiva lombarda.
Per affrontare questi problemi non basta certamente la Regione. Si tratta di problemi che necessitano di convergenza e cooperazione tra istituzioni a tutti i livelli (europee, nazionali, sub-regionali), imprese, forze sociali che si propongano di affrontare congiuntamente tre grandi sfide:
la crisi di produttività, che vede la Lombardia in affanno tra le regioni europee più forti; la crescita delle disuguaglianze territoriali e dell’ingiustizia sociale; l’interpretazione di un ruolo attivo nel processo di riconversione ecologica delle economie e di ripensamento radicale del modello di sviluppo.
Ma ancora prima è fondamentale l’inversione di una tendenza di lungo periodo nelle politiche regionali, che, dopo anni di rinuncia a un ruolo forte della Regione e di passività nei confronti del mercato e dei suoi interessi, riporti la responsabilità e la regia pubblica al centro dell’azione di governo.
Ciò non implica affatto la rinuncia a sollecitare e promuovere il protagonismo sociale, anche delle imprese; piuttosto, si tratta di riaffidare alla Regione un ruolo rilevante di programmazione strategica, regolazione, promozione e sostegno alla società e alle istituzioni, rafforzando competenze e capacità degli attori pubblici.
La Lombardia è la regione più ricca d’Italia.
Tuttavia, essa non è oggi in grado di competere efficacemente con altre regioni europee del suo rango a causa di una produttività limitata, ma anche di una infrastrutturazione pubblica più debole. La scommessa per la Lombardia si gioca sul modello di sviluppo.
Riconversione ecologica dell’economia, in una delle regioni più inquinate d’Europa, significa maggiori investimenti pubblici, sostegno alla ricerca nelle filiere innovative della green economy, ma anche, più radicalmente, promozione di un sentiero di sviluppo non solo genericamente sostenibile, ma orientato a spostare risorse e intelligenze verso economia circolare, servizi ecosistemici, turismo sostenibile, filiere innovative nei settori green, un grande programma di re-infrastrutturazione diffusa nei settori della mobilità dolce ed ecologica, delle energie alternative, del riuso e del recupero edilizio.
E significa anche dire dei no. Per esempio, non assecondare un modello di regolazione urbanistica che affida al privato la progettazione e persino la pianificazione del cambiamento; rinunciare a grandi infrastrutture inutili e costose, per esempio nei settori del turismo di montagna; sostituire il sostegno indifferenziato e per nulla strategico al sistema delle imprese con politiche mirate a territori e a filiere innovative.
La transizione ecologica deve avere come stella polare la riduzione delle disuguaglianze, tra territori, tra gruppi sociali, tra famiglie e individui. Per questa ragione, è necessaria, anche nell’attuale fase di avvio della programmazione dei Fondi strutturali 2021/2027, una strategia fondata su principi di selettività, di redistribuzione, di territorializzazione.
La politica regionale deve riconoscere e valorizzare le specificità e le differenze. Più ancora, deve essere in grado di evitare il rischio di uno sviluppo regionale a molte velocità.
Il “divorzio” tra Milano e il suo territorio va evitato con politiche redistributive a livello territoriale; le aree interne devono essere sostenute non con interventi a pioggia, ma con azioni concentrate e strategiche; la Lombardia di mezzo a rischio di marginalizzazione ha bisogno di una forte politica di reinvenzione di sentieri di sviluppo alternativi.
Questi contesti critici hanno bisogno di azioni integrate, materiali e immateriali, intorno a strategie di sviluppo sostenibile, non di interventi frammentati e a pioggia (come è stato per esempio per gli interventi nelle aree montane)
Per promuovere questo percorso possono giocare un ruolo importante le risorse regionali che saranno distribuite attraverso la programmazione FESR e FSE+ nei prossimi anni. La partita va giocata ora, nei prossimi mesi. Più che il PNRR, sul quale il ruolo regionale è nel complesso limitato, la programmazione dei fondi strutturali costituisce una occasione significativa (circa 2 miliardi per il FESR e 1,5 miliardi nei POR approvati).
Un terreno rilevante in questa direzione è quello della rigenerazione urbana. Vi sono due possibili interpretazioni della rigenerazione. Una prima immagina la rigenerazione come un processo che sta interamente nelle mani del mercato e dei suoi attori, e che dal punto di vista delle istituzioni si preoccupa solo di costruire occasioni per gli operatori. Una seconda interpretazione assume invece la rigenerazione come un processo sociale centrato su principi ecologici, regolato dal pubblico, che deve essere in grado di ridurre i rischi connessi a processi di gentrificazione, che possono accrescere le disuguaglianze nei contesti urbani, e di accrescere la dotazione di servizi e spazi pubblici.
La LR 18/2019 sulla rigenerazione non risponde a questa seconda interpretazione. Potrebbe essere utile rimettere mano alla legge, anche a valle delle nuove esigenze emerse dopo la pandemia.
Ma soprattutto, è necessario sperimentare progetti territoriali integrati per le aree più critiche delle città, lungo una linea in parte sperimentata dai progetti finanziati nell’ambito della programmazione 2021/2027 con l’attribuzione di 180 M euro a 12 strategie urbane, centrato sul contrasto alle disuguaglianze e alle fragilità territoriali intorno ai tre nodi della casa, della scuola e dei servizi socio-sanitari e socio-assistenziali.
Sul fronte urbanistico, il tema della rigenerazione urbana deve fondarsi sul principio del consumo di suolo zero deve essere rilanciato con maggiore forza ed efficacia, sostenendo tutti gli strumenti del riuso edilizio e territoriale, dell’accompagnamento e del finanziamento delle bonifiche, della mobilità dolce, ecc.
Secondo i dati Ispra la Lombardia è la maglia nera tra le regioni italiane per quanto riguarda il consumo di suolo.
Tra il 2016 e il 2021 sono stati consumati in Lombardia 3518 ettari di suolo non urbanizzato! La Lombardia, con 883 ettari in più nell’arco del 2021, si posiziona come la Regione italiana con il più alto consumo di suolo.
È dunque evidente che la legge regionale sul consumo di suolo (LR 31/2014) sia del tutto inefficace sia dunque da rivedere radicalmente!
Su questo tema è anche decisivo supportare processi inclusivi, capaci di coinvolgere la molteplicità di attori e interessi territoriali coinvolti, ma anche i cittadini e i beneficiari, magari sperimentando nuove forme di attivazione delle risorse locali nel disegno e nell’attuazione delle politiche.
[1] Coppola A., Del Fabbro M., Lanzani A., Pessina G., Zanfi F., a cura di, (2021), Ricomporre i divari. Politiche e progetti territoriali contro le disuguaglianze e per la transizione ecologica, il Mulino, Bologna.