Sicuramente il tema della valutazione e in particolare quello delle bocciature è uno degli elementi di maggior sofferenza per tutti coloro che nella scuola vivono quotidianamente. È indubbio purtroppo che ancora oggi all’idea di bocciatura rimanga associata l’immagine di una punizione o comunque di una inadeguatezza. Lo si vede anche nella orrenda parola “debito” che è stata introdotta nella scuola insieme ad altri termini del gergo economicistico. Quando una persona ha dei debiti economici non è certamente felice, non si può certo andare a raccontarle che il debito è un’opportunità, una possibilità: avere esteso indebitamente (appunto!) questo termine al mondo scolastico sottolinea ancora di più l’induzione del senso di colpa nei confronti dei ragazzi e delle ragazze che a giugno non hanno raggiunto la sufficienza in alcune discipline
E allora occorre con urgenza ripensare completamente il senso della verifica dell’apprendimento e della sua valutazione. Il punto è passare a una scuola che non imponga dall’esterno ritmi di apprendimento fondati non si sa bene su quale presunta oggettività, ma che continuamente ponga i ragazzi e le ragazze di fronte a sfide di crescita, a stimoli evolutivi che li appassionino e non introducano la valutazione come elemento esterno, premio o punizione o, peggio ancora, arma di ricatto.
La verifica dell’apprendimento dovrebbe essere come la cima di una montagna: può essere raggiunta o meno, ma non rende meno valido lo sforzo compiuto dal tentativo di uno scalatore. Sapendo che quello che realmente conta all’interno della scuola è la mobilitazione delle facoltà logiche, emotive e relazionali per acquisire apprendimenti attorno a contenuti che, lo diciamo senza alcun dubbio, sono solo dei pre-testi per imparare.
Durante il primo lockdown la decisione del Ministro di fare in modo che tutti i ragazzi e le ragazze passassero all’anno successivo ha dato luogo a reazioni a dir poco isteriche da parte di alcuni insegnanti che si sono permessi di affermare che in questo modo si sarebbe disincentivata totalmente la voglia di studiare. È incredibile che nella scuola si dicano queste cose e poi si abbia il coraggio di rinfacciare ai ragazzi e alle ragazze che “studiano soltanto per il voto” e che non hanno altro interesse che passare l’anno. Un tipico esempio del carattere schizofrenico di parte della nostra situazione scolastica.
Non è più tollerabile che la prima settimana di giugno diventi una specie di giudizio universale, il momento in cui la scuola rischia di dare il peggio di sé causando una reazione a catena di drammi, delusioni, soddisfazioni per essersela cavata per un pelo. Riarticolare il tempo scolastico, modificare i cicli introdurre elementi di flessibilità: solo all’interno di questo cambiamento radicale, che richiederà tempo ma che non è ulteriormente rimandabile, si può porre la questione dell’eliminazione delle bocciature. Anzi all’interno di questo cambiamento la bocciatura perderebbe totalmente di senso perché finalmente si concretizzerebbe la verità profonda secondo la quale la scuola deve adattarsi al ragazzo e non il contrario, e i tempi di apprendimento non sono dettati da qualche legge portata sulla Terra da qualche profeta ma sono sempre legati allo sviluppo individuale e sociale dell’individuo. Nella scuola come fuori.
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Parlare di valutazione e bocciatura è spesso l’occasione per far emergere quali sono le categorie non esplicitate che fanno da cornice di senso (o non senso) del processo di insegnamento e apprendimento di cui si sta parlando. Serve anche a far emergere i ruoli, i rapporti di forza, la collocazione che tendiamo ad attribuire a ciascuna delle parti coinvolte.
Davanti alle riflessioni sulla valutazione e sui suoi atti ultimi (promozione/bocciatura e le mille sfumature di grigio che si avvicendano di riforma in controriforma) ci lascia sempre stupiti il fatto che si rifletta poco sulla didattica quotidiana che deve trovare una sua coerenza in quell’atto, quello della valutazione, che non è solo conclusivo o episodico ma che invece dovrebbe avere carattere di ordinarietà. In ogni passaggio del processo continuo dell’imparare, noi possiamo osservare ed osservarci, spinti dalla motivazione a migliorare la nostra azione dentro quel percorso.
Il compito alto e affatto scontato dell’insegnante/educatore dovrebbe essere quello di chi predispone le condizioni grazie alle quali chi sta apprendendo possa costruire se stesso e le sue conoscenze in modo adeguato al suo funzionamento.
Se condividiamo la tesi di un soggetto primario costruttore del proprio sapere, allora spetterà a noi insegnanti predisporre un cantiere sufficientemente attrezzato di esperienze che permettano di mettere un mattone sopra l’altro; ma anche di sguardi per fermarsi a osservare come e quanto l’edificio che prende forma soddisfi e corrisponda alle aspettative e motivazioni di chi sta lavorando per acquisire competenze e con esse il proprio futuro.
L’importanza dell’autovalutazione
L’autovalutazione deve essere parte strutturale di ogni percorso di apprendimento che non voglia essere fondato su un distorto delirio di onnipotenza e superiorità dell’adulto che confonde il lavoro di insegnante con quello di giudice, percorso colpevole rispetto ai modelli di relazione sociale ma soprattutto fallimentare nei suoi esiti primari: senza l’autoeducazione l’educazione stessa non realizza i suoi fini anche più nobili.
Allora condividere con i ragazzi e le ragazze (e anche con bambini e bambine sin dalla scuola primaria) un diario di bordo, colloqui di autovalutazione, tabelle di sintesi sugli apprendimenti, considerazioni sulle strategie organizzative da ciascuno adottate, ipotesi sui diversi meccanismi cognitivi facilitanti e ostacolanti mentre si impara, vuol dire certamente rappresentare concretamente la circolarità del processo di insegnamento e apprendimento, che se è piramidale va verso un insuccesso di sostanza, ma soprattutto farlo permette di giungere, da professionisti, a una valutazione autentica perché sintesi di più sguardi.
Ma in una società basata sulla più spietata competitività, sulla concezione del successo individuale come elemento di conquista fondato spesso sull’affossamento dei propri simili, sulla eliminazione di ogni elemento di solidarietà, tutto questo ha un significato politico. Eliminare le bocciature può voler dire iniziare un percorso che porti a cancellare l’idea che qualcuno possa essere bocciato anche nella vita. Potrebbe anche voler dire cominciare a pensare alla promozione non come un elemento del dispositivo scolastico, ma come vera e autentica promozione sociale in un sistema realmente democratico.