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Il movimento dei movimenti, 2001-2021: l’attualità di un’agenda politica


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“E un bel giorno Genova si svegliò blindata. Mentre Berlusconi sistemava le fioriere e vietava di stendere i panni, piccole e medie aziende di carpenteria di Liguria e basso Piemonte adempivano all’ordine di trasformare la Superba in un ghetto”.[1]

Le numerose fotografie, unite alle testimonianze orali, raffigurano Genova prima degli scontri come uno spazio cittadino desertificato, con poche macchine e gli scuri abbassati. Barriere divisorie e file di container a impedire il passaggio e delimitare una zona rossa impenetrabile in cui difendere lo svolgimento del summit del G8.

Le giornate di Genova sono impresse nella memoria collettiva come un momento di violenza consumatosi in una città devastata dal vandalismo. Le fotografie e le videoriprese delle violenze dei manifestanti e della polizia saturarono e monopolizzarono lo spazio mediatico. Il risultato di tutto ciò, però, fu l’opacizzazione pressoché totale dei contenuti politici che muovevano il Genoa Social Forum. Nel luglio 2001, infatti, arrivava a maturazione un processo di organizzazione dal basso per una forma di globalizzazione alternativa a quella economica neoliberista. Un’istanza che è sopravvissuta, invece, come un fiume carsico, ed è tornata ad affiorare in tempi recenti.

“Il movimento dei movimenti” – così veniva chiamato dagli attivisti della rete – ambiva a estendere le sue maglie in uno scenario globale, abbracciando un caleidoscopio di temi e istanze di rivendicazione: pacifismo, lotte contro la crisi climatica, autodeterminazione delle comunità indigene oppresse, battaglie per i diritti delle donne, per un più equo utilizzo delle risorse globali e contro lo sfruttamento dei territori e della mano d’opera nei paesi di secondo sviluppo. Ci addentriamo in questo modo in un pezzo di storia che precede i fatti stretti dell’anti G8 di Genova e che serve a incastonarli, in tutta la loro gravità, nel processo più ampio di un laboratorio politico. Nel 1990 a Bruxelles si erano verificate delle manifestazioni di agricoltori contro la World Trade Organization. Nel 1994 in Chiapas gli zapatisti avevano iniziato a organizzare incontri antiliberisti, catalizzando i portavoce di altre minoranze oppresse. L’intenzione era quella di creare occasioni di incontro in cui organizzare le rivendicazioni per una globalizzazione alternativa[2], così come sarebbe avvenuto a Seattle nel novembre 1999 e poi dal 22 al 25 gennaio 2000 a Porto Alegre, in Brasile, con il primo forum sociale mondiale.

19-21 luglio 2001: la persistenza di Genova, vent’anni dopo

A inaugurare le giornate di Genova, giovedì 19 luglio, fu un corteo di 50 mila manifestanti che sfilò pacificamente nella città, ricordato come “il corteo dei migranti”, il cui slogan era “libertà di movimento, libertà per tutti”. Gli eventi precipitarono il giorno seguente, quando la presenza di cosiddetti manifestanti “cattivi” – black block, contestatori di professione, rent-a-mob della sinistra, come qualcuno li definì – [3] divenne il pretesto per un uso coercitivo della violenza da parte delle forze dell’ordine.

Il primo annuncio allarmante dell’Ansa fu delle 12.16:

– G8: PROTESTE; A MIGLIAIA IN PIAZZA DA NOVI, SPUNTANO MAZZE: In piazza Paolo da Novi, una delle piazze più vicine alla zona rossa, si stanno concentrando migliaia di persone: lavoratori Cobas, ragazzi dei centri sociali e del Network per i diritti globali. Si attendono entro le 14 circa settemila persone. Attorno alla piazza, però, si stanno già componendo gruppi estranei al movimento, secondo Piero Bernocchi dei Cobas, con caschi, mazze e con i volti coperti. Si tratterebbe di frange estranee al Genoa social forum, forse ”black block”, anarchici insurrezionalisti.

Un quarto d’ora dopo la situazione era già sfuggita di mano, la polizia caricava i manifestanti, non solo quelli armati di caschi e mazze. Il corteo delle frange antagoniste procedeva verso Piazza Tommaseo trasformata in un campo di guerriglia urbana. Circa un’ora più tardi, fu il carcere Marassi ad essere “indisturbatamente” vandalizzato: vetri infranti a colpi di spranghe e sanpietrini scagliati contro le finestre del primo piano.

Alle 15.30 si verificarono delle cariche contro i black block a Piazza Manin, luogo deputato al presidio pacifista della rete Lilliput. Anche in questo caso i manifestanti furono indistintamente travolti e impigliati dalla “rete” dei lacrimogeni. Intorno alle 17 si registrarono scontri in via Tolemaide, all’incrocio con via Torino, ciò che di nuovo incagliò il corteo dei manifestanti pacifisti e le tute bianche in un violento impasse carico di tensione.

Alle 18 si diffusero le prime voci di un ragazzo morto durante gli scontri in via Caffa, tra Piazza Tommaseo e Piazza Alimonda. Un’edizione straordinaria del tg1 mostrò per la prima volta il corpo di Carlo Giuliani steso sull’asfalto, l’icona di lutto[4] dei disordini anti G8.

L’escalation delle violenze si verificò la sera del 21 luglio, con le incursioni dentro la scuola Diaz-Pertini. L’uso dell’edificio era stato concesso dal Comune di Genova come dormitorio per i manifestanti del Genoa Social Forum, molti dei quali provenivano da altri paesi d’Europa e del mondo. “La mattanza messicana”, orchestrata dapprima nella scuola Diaz e poi, per circa 200 manifestanti, proseguita nella caserma di Bolzaneto, rappresenta il culmine dell’eccezionalità: i presenti, sottoposti a maltrattamenti violenti, sevizie psicologiche e fisiche, raccontarono di essersi sentiti come “tagliati fuori dal mondo, in un luogo senza legge e senza regole”.[5]

Nel 2017 la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia per reato di tortura, accusando le forze dell’ordine di aver trattato i manifestanti “come oggetti per mano del potere pubblico”[6] e denunciando le istituzioni italiane per “le lacune strutturali dell’ordine giuridico” e l’incapacità di punire mandanti ed esecutori delle violenze.

In una riflessione di Franco Fedeli, direttore di Ordine Pubblico — rivista specializzata sui problemi delle forze dell’ordine — troviamo una significativa denuncia della cronicità di certi mali insiti nella gestione dell’ordine pubblico: “se non si rimedia in tempo, se non si cambiano sistemi e metodi e uomini, si finirà col creare uno steccato insormontabile tra la polizia e il popolo, tra Stato e paese.”[7] Era il 1974 quando Fedeli, dall’interno del movimento per la democratizzazione della polizia, pronunciava queste parole che ancora oggi risultano “rivelatrici” perché capaci di evocare le barricate di ferro di Genova e riverberare nelle più recenti scene di violenza carceraria, in cui di nuovo la brutalità continua a essere legittimata dall’eccezionalità dell’emergenza.  [Documento “dibattito al circolo De Amicis”, Archivio FGF]

Clicca qui per leggere il contributo di Franco Fedeli, direttore di “Ordine Pubblico”.

Ricordare Genova 2001 a vent’anni di distanza è importante non solo per rimandare all’attualità degli eccessi di violenza di cui continuano a macchiarsi alcuni garanti dell’ordine pubblico. Se guardiamo ai nuovi movimenti di portata internazionale, dalle “primavere arabe”, all’ambientalismo dei Fridays For Future, alle rivendicazioni antirazziste della rete Black Lives Matter, ciò che è bene sottolineare è l’urgenza, che ritorna, di alcuni temi già portanti per l’agenda politica del Social Forum.


[1] Diario, Supplemento al n.31, anno VI, 3 agosto 2001, p.13.

[2] Cfr., Zapruder, Zona Rossa, n.54 febbraio 2021.

[3] Cfr., Donatella Dalla Porta, Herbert Reiter, Polizia e protesta. L’ordine pubblico dalla Liberazione ai no global, Il Mulino, Bologna 2004.

[4] Fabio Caffarena, Carlo Stiaccini, Scritture disobbedienti in piazza, in Zapruder Zona Rossa, n.54 febbraio 2021, p. 119.

[5] Internazionale, 7 aprile 2015. Link: https://www.internazionale.it/notizie/nick-davies-2/2015/04/07/genova-g8-inchiesta

[6] La Repubblica, 26 ottobre 2017. Link: https://www.repubblica.it/cronaca/2017/10/26/news/a_bolzaneto_fu_tortura_strasburgo_condanna_italia-179372767/

[7] Franco Fedeli, In Vincenzo Balzamo (a cura di), Polizia e Stato democratico, dibattito al circolo “De Amicis” di Milano e proposte di legge, 1974, pp. 22-23.

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