L’11 settembre 1973 le Forze Armate e i Carabineros cileni presero con la forza il potere, destituendo il socialista Salvador Allende. Quel giorno finiva pure l’esperienza di governo della coalizione di partiti di sinistra Unidad Popular e iniziava una lunga e feroce dittatura che si sarebbe proposta, riuscendoci, di “rigenerare” il Paese e restaurare l’ordine.
Migliaia di cileni e cilene sarebbero caduti sotto la scure dei militari, perdendo la vita e patendo la tortura. Molti sarebbero stati costretti all’esilio.
Il Cile dovette attendere il ritorno alla democrazia, nel 1990, per iniziare, faticosamente, a fare i conti con il passato. La questione della memoria risultò dirimente e riguardò la legittimità delle istituzioni democratiche.
Difatti, le lotte sul senso del passato, specie rispetto al tema della repressione e delle violazioni dei diritti umani, necessitarono di risposte in termini politici, giudiziari e culturali, che non potevano essere eluse nel processo di ripristino dello stato di diritto. Si dovette pensare, quindi, a come tornare alla convivenza e a come sanare il deficit democratico e di cittadinanza, su quali basi e princìpi e su quale senso della giustizia.
Sino a quando i militari furono presenti nelle istituzioni e Augusto Pinochet attivo politicamente, i governi democratici agirono con cautela e la memoria parve a lungo un affare privato, delle vittime e dei loro familiari. Poi intervennero i lavori delle commissioni per la verità (Rettig nel 1990, Valech I nel 2003 e II nel 2010-11) che sancirono l’assunzione di responsabilità da parte dello Stato.
I crimini commessi dagli uomini in divisa e dai loro complici civili divennero una vicenda che coinvolgeva direttamente tutta la società cilena.
La memoria
Quasi contestualmente si avviarono i procedimenti giudiziari contro i repressori, moltiplicatisi dopo l’arresto di Pinochet a Londra nel 1998, e, soprattutto con il nuovo millennio, presero corpo le politiche di memorializzazione con la creazione di archivi, innalzamento di statue, memoriali, commemorazioni, ecc. Nel 2010, con il Museo de la Memoria y los Derechos Humanos, si raggiunse l’apice di questa inversione di tendenza.
Tali politiche sopperirono meritoriamente, seppure parzialmente, al desiderio di verità e giustizia delle vittime. Inoltre, la “materializzazione delle memorie” e la funzione pedagogica rappresentarono un tangibile ed encomiabile tentativo pubblico di convivere con un passato doloroso e traumatico. Nondimeno, emersero due criticità:
la difficoltà di trasferire le memorie; la rappresentazione di una visione bipolare delle dinamiche che avevano condotto al golpe, dovuta all’insufficiente ricorso agli strumenti delle scienze sociali, in particolare a quelli della storia.
Dopo il 1990
La commemorazione del golpe è stata fonte di disputa dal 1990. Ciononostante, da questa data in poi, si possono notare i cambiamenti succedutisi nel corso del tempo sul significato da attribuire al passato e l’emergere di nuove narrative e conflitti che sono andati di pari passo con i mutamenti sociali, culturali e di mentalità. Il passato e le memorie non hanno smesso di essere contesi e usati nei confronti politici del presente.
Alcuni anniversari illustrano bene questa tendenza. È il caso di quello del 1998, quando il Día de la Liberación Nacional istituito dai militari per l’11 settembre fu sostituito con il Día de la Unidad Nacional. Tuttavia, fu necessaria una poco edificante trattativa tra esecutivo e Pinochet, a conferma della intatta capacità del dittatore di influenzare la politica locale, della persistenza di forti resistenze nell’istituzione militare e di una società ancora polarizzata.
Altra data chiave fu quella del 2003, quando, in prossimità del trentennale, il presidente Ricardo Lagos lanciò la proposta «No hay mañana sin ayer», preludio all’istituzione della Comisión Nacional sobre Prisión Política y Tortura. Fu la testimonianza del nuovo dibattito sulle memorie, sospinto dall’emersione del tema della tortura e delle detenzioni arbitrarie come strumento di gestione del potere pinochetista. Contemporaneamente, iniziò il recupero dell’esperienza di UP, grazie al contributo delle scienze sociali e, soprattutto, del mondo dell’arte.
Dopo le proteste studentesche del 2006 e, soprattutto, del 2011, la questione della memoria si intrecciò con l’aspirazione di instaurare una piena democrazia, cioè finalmente libera dai retaggi autoritari.
Esplosione della memoria
Il quarantennale testimoniò una “esplosione” della memoria, soprattutto a livello pubblico: fu il tentativo di rompere i silenzi sul passato e di superare il vincolo tra vittime e memoria, così da riscattare le esperienze di vita di quanti avevano partecipato a UP. Il passo seguente fu l’assunzione di responsabilità da parte di attori istituzionali e non, con il presidente di centro-destra Sebastián Piñera che, nel 2013, ammise la presenza di “complices pasivos” in dittatura.
Grazie al ricambio generazionale, stava emergendo il malcontento per il sistema diseguale ereditato dalla dittatura e corretto in misura insufficiente dai governi democratici. Tuttavia, intorno all’11 settembre continuarono a prodursi forti conflitti, lotte di memorie, perché persistevano, e persistono, profonde fratture sul significato da attribuire alle vicende politiche prima, durante e dopo il golpe.
Pesava come un macigno, come tuttora, la debole esplicitazione dell’esistenza di conflitti in merito al passato e l’assenza di un reale dibattito pubblico sul tema della memoria. In tal senso, risulta esemplare l’oscillazione delle principali forze politiche, specie delle destre. Non a caso, a distanza di anni, e dopo esser tornato nuovamente al potere, Piñera non esitò a richiamare la tesi della polarizzazione e del caos politico dei primi Settanta, quasi a giustificare l’intervento dei militari.
Gli ultimi mesi
Per non parlare di ciò che è successo negli ultimi mesi: una destra sempre più radicale, rinvigorita dalle incertezze e difficoltà dell’attuale esecutivo di Gabriel Boric, sembra non avere più alcun freno nel porre enfasi su alcuni antecedenti del golpe e nell’invertire le responsabilità dell’accaduto, compiendo, in dieci anni, una vera e propria giravolta rispetto all’ammissione dei “complici passivi”.
Il rapporto con il passato è sempre stato in Cile, come altrove, controverso e conflittuale. Le lotte per la memoria hanno attivato pratiche sociali e generato risposte politiche rilevanti da parte dello Stato in tema di tutela dei diritti umani, persecuzione dei crimini e rispetto dei processi democratici. Ma le memorie, in quanto fenomeni sociali, risultano disomogenee e mutano nel tempo.
Ciò significa che il conflitto non può, in definitiva, essere rimosso, ancor più in un contesto dove è ampia la zona grigia della memoria della dittatura. La questione memoriale, dunque, resta viva e attiene a come esplicitare l’esistenza di conflitti di memorie a livello pubblico e promuovere la loro elaborazione a livello sociale, nonché a come continuare a ricordare per far sì che tutto possa giovare al processo democratico.
La storia e le scienze sociali possono suggerire di storicizzare le memorie, ossia leggerne le parabole come fenomeni sociali con i loro conflitti, e come costruzioni che interagiscono continuamente con le dinamiche simboliche e istituzionali.
Ciò significa assegnare a esse un significato più ampio e inserirle in processi storici e di creazione di disuguaglianza più estesi.
Nuova prospettiva
Inquadrando la questione in traiettorie di più lunga durata si riesce meglio a comprendere i fattori che influiscono nella relazione tra memoria e presente, e nella capacità di gestire il conflitto. Ampliare il quadro ai processi storici soggiacenti potrebbe aiutare a superare la logica bipolare che continua a perpetrarsi rispetto all’esperienza di UP e alle cause del golpe, una logica che non ha giovato all’esperienza cittadina e ai meccanismi della democrazia, intesa come luogo privilegiato per gestire il conflitto.
Negli ultimi anni le giovani generazioni hanno denunciato la profondità storica delle diseguaglianze economico-sociali, appigliandosi anche alla memoria. Eppure, oggi il dibattito pubblico è condizionato dal vento forte del revisionismo e dalla strumentalizzazione del passato a fini politici contingenti.
C’è, dunque, da chiedersi se ciò avvenga perché quei conflitti non sono stati risolti o perché non sono stati, per timore, sufficientemente esplicitati. Il passo successivo, per la salute delle istituzioni democratiche, potrebbe essere quello di mettere in discussione l’ipotesi del rapporto diretto e lineare tra memorie e democrazia.
Ciò consentirebbe di prendere finalmente atto della complessità della realtà sociopolitica e di affrontare le sfide, e i rischi, che ne conseguono.