In Italia, il diritto al voto non è garantito a tutti i cittadini.
Le persone di origine straniera e diversi dei figli maggiorenni di stranieri nati o cresciuti in questo Paese non possono votare perché non possiedono la cittadinanza. Tuttavia, in campagna elettorale, la riforma sulla cittadinanza, per esempio, viene puntualmente tirata fuori — specialmente dalle forze politiche di centro-sinistra — anche per attirare quella parte di elettorato che viene poi sistematicamente esclusa o ignorata dalle istituzioni stesse.
Da questa contraddizione si apre una voragine fatta di razzismo istituzionale, repressione e diritti negati per cui non è semplice far sì che ci sia un interesse o una fiducia nelle istituzioni da parte di questa categoria di persone.
Razzismo sistemico in Italia
Infatti, la decostruzione del razzismo sistemico in Italia non è contemplata, o meglio, di razzismo si parla solamente quando gli esponenti dei partiti di estrema destra, come nel caso italiano, vincono le elezioni, parlano di sostituzioni etniche o di “invasioni”.
O ancora, di razzismo si parla solamente quando avviene il caso di cronaca eclatante: si pensi all’attentato razzista di Luca Traini che, a Macerata, nel 2018, ha sparato contro sei persone perché nere.
Tuttavia, se si facesse un’analisi più approfondita dello stesso, a partire dal sistema in cui viviamo, sarebbe allora possibile comprendere che il razzismo non è nato nel 2018 con il governo giallo-verde, con una schiacciante vittoria della Lega, né nasce ora con l’ascesa del partito di estrema destra Fratelli d’Italia.
Il razzismo sistemico viene definito tale proprio perché la sua natura si basa profondamente su una struttura fatta di discriminazioni razziali e sociali che partono dal trattamento che le istituzioni riservano alla persona straniera – soprattutto se extra Ue e che proviene dal Sud globale.
Legge Bossi-Fini
Un esempio lampante è la legge Bossi-Fini che da vent’anni condanna migliaia di persone straniere alla precarietà, all’irregolarità e allo sfruttamento.
Tale legge fu creata proprio per vincolare il permesso di soggiorno a un contratto di lavoro, eliminando così la figura dello “sponsor”, un metodo che permetteva alla persona di origine straniera di entrare legalmente in Italia con un visto per cercare lavoro grazie alle garanzie economiche offerte da un familiare, da un conoscente o altro garante.
Questo strumento venne sperimentato dal 1999 al 2001 per poi essere abolito. Riportando le voci di diversi esperti in materia di diritto dell’immigrazione, il giornalista Duccio Facchini su AltrEconomia, ha spiegato come tale provvedimento sia “andato a […] identificare l’immigrazione come un ‘problema’ di ordine pubblico”.
L’Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) ha spiegato come la Bossi-Fini sia stata artefice dell’abolizione del cosiddetto “permesso per ricerca occupazione”:
“questo particolare permesso di soggiorno è stato abrogato nel 2002 dalla legge Bossi-Fini, nonostante fosse l’unico meccanismo che non costringeva la persona straniera al farraginoso meccanismo del decreto flussi (cioè dell’incontro a distanza tra domanda e offerta di lavoro, poiché il lavoratore straniero può essere chiamato da un datore di lavoro solo se vive nel suo Paese), evitando pertanto il crearsi di ampie sacche di irregolarità”.
E ancora, “i migranti in cerca di lavoro”, spiegava Marco Paggi dell’Asgi, sempre ad AltrEconomia nel 2017, “si sostenevano senza gravare sulla collettività grazie al supporto di familiari o amici. E pagavano di tasca propria le spese del viaggio senza doversi affidare ai trafficanti. Tuttavia si scelse di eliminarlo per motivi puramente ideologici”.
Risulta evidente, quindi, che esiste una discriminazione che va a colpire le persone straniere, puntualmente criminalizzate e rese ricattabili e vulnerabili da leggi volte all’esclusione sociale.
Becky Moses, ventiseienne nigeriana morta nel 2018 in un incendio scoppiato nel ghetto dei braccianti di San Ferdinando, o Soumaila Sacko, bracciante e attivista ucciso a colpi di fucile nello stesso anno mentre cercava delle lamiere per costruire un riparo di fortuna, per esempio, non sono semplicemente degli “effetti collaterali”, ma le conseguenze di un sistema istituzionale che non solo si ostina a non ascoltare le proteste di uomini e donne braccianti straniere che da decenni manifestano per i propri diritti, ma che normalizza e rende legittima questa discriminazione.
Cpr e CPTA
Un discorso analogo è possibile farlo per i Cpr (Centri di Permanenza per il Rimpatrio) – ex CPTA (Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza), nati dalla legge Turco-Napolitano del 1998 — in cui ogni giorno si consumano violenze nei confronti di persone straniere che vengono detenute per il solo fatto di non possedere un permesso di soggiorno.
Come è stato sottolineato anche nel rapporto Buchi Neri di Cild (Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili), tra le molteplici violazioni dei diritti che vengono commesse ai danni delle persone trattenute, l’assenza di assistenza sanitaria è classificata tra le più gravi: vi è una completa negligenza nei confronti della valutazione dell’idoneità delle persone straniere al trattenimento.
Infatti, come viene evidenziato nel rapporto, il 90% degli avvocati e delle avvocate intervistate ha affermato che il più delle volte non esiste un certificato di idoneità al trattenimento nel fascicolo dell’autorità giudiziaria.
A questo si aggiungono l’abuso di psicofarmaci – somministrati senza alcun dosaggio, spesso per sedare eventuali ribellioni, sempre che non vengano usati prima i manganelli — e l’assenza di assistenza alla salute mentale.
Non idoneità al trattamento
Un esempio lampante di non idoneità al trattenimento è quello di Moussa Balde, 23enne guineano che nel maggio 2021 si è tolto la vita nel Cpr di Torino. Violentemente picchiato a Ventimiglia, è stato direttamente portato nel Cpr di Torino nonostante le sue condizioni psico-fisiche gravi fossero un evidente indicatore della non idoneità del giovane al trattenimento.
Il numero delle persone morte di Cpr è aumentato negli anni — Hossain Faisal; Vakhtang Enukidze; Aymen Mekni; Orgest Turia; Wissem Abdel Latif e molti altri — così come aumentano le denunce su questo sistema ritenuto inutile e deleterio, non solo dagli attivisti e dalle attiviste che ne contestano l’esistenza, ma anche dagli esperti legali che da anni ne mettono in discussione la legittimità.
Questi sono solo due della lunga lista di esempi di razzismo istituzionale che sono venuti fuori con forza durante le proteste e le mobilitazioni in Italia a seguito dell’omicidio di George Floyd, l’ennesimo afroamericano ucciso dalla polizia negli Stati Uniti.
Le persone afrodiscendenti hanno infatti ribadito che il razzismo non esiste solo negli Stati Uniti, ma che è ben presente anche in Italia a livello istituzionale, sociale e culturale.
Storia coloniale italiana
Su quest’ultimo aspetto, basti pensare, per esempio, al modo in cui ancora si fa fatica a parlare della storia coloniale italiana puntando a una decolonizzazione culturale.
Non si tratterebbe solo di raccontare i fatti storici cambiando prospettiva e facendo emergere quindi il punto di vista di chi ha subito l’efferatezza dei crimini fascisti nelle colonie nordafricane, ma anche di decostruirne i retaggi, tutt’ora in piedi.
“Roma è una città fascista. La frase potrebbe suonare come una bestemmia. Probabilmente lo è. Ma il fatto è che nella storia della capitale sono evidenti le tracce del ventennio. Chi abita nella capitale lo sa bene, i fasci littori spuntano stampigliati sui tombini quando meno ce lo aspettiamo, compaiono su un ponte o in alcuni murales”, ha affermato la scrittrice Igiaba Scego.
Bisogna quindi riflettere sulle motivazioni che stanno dietro alla necessità di raccontare e insegnare la storia dal punto di vista delle persone che sono state colonizzate e hanno subito la repressione e la violenza degli Stati occidentali.
La classe dirigente italiana non è mai stata attenta a questi temi, né ha mai prestato attenzione alle richieste che tutte le persone di origine straniera hanno formulato negli anni.
Partecipazione politica
Questo però non implica che non vi sia la partecipazione politica delle stesse. Basti pensare al Coordinamento Migranti di Bologna e all’Assemblea donne migranti che si battono tutti i giorni contro lo sfruttamento di lavoratori e lavoratrici straniere — con un’ottica femminista e intersezionale per queste ultime. Da anni il Coordinamento si batte per un permesso di soggiorno — che dipende spesso da vincoli burocratici che riguardano il reddito e il contratto di lavoro — che sia incondizionato.
Si pensi ai vari movimenti nati per l’approvazione di una riforma della cittadinanza, da Italiani Senza Cittadinanza a Dalla Parte Giusta della Storia, in cui giovani (con e senza cittadinanza) si battono per far sì che oltre 800mila persone nate o cresciute in Italia vengano riconosciute come italiane.
Ius sanguinis
Ricordiamo che da 30 anni, nonostante centinaia di dibattiti e discussioni su ius culturae o ius scholae, ci ritroviamo con una legge (la n. 91 del 1992) obsoleta rispetto alla realtà odierna. Una legge che si basa sullo ius sanguinis per cui, paradossalmente, una persona statunitense (con il trisavolo di Sesto San Giovanni), pur non avendo mai messo piede in Italia, è considerata più italiana di una persona di origine ghanese che ci è nata o cresciuta, per una mera questione di sangue.
Inoltre, non ci dimentichiamo della mobilitazione immediata delle persone afrodiscendenti e della comunità nigeriana che si sono organizzate fin da subito a seguito dell’omicidio di Alika Ogorchukwu, aggredito e ucciso a Civitanova Marche nel luglio 2022. Anche in quell’occasione, durante il corteo, è stato ribadito che il razzismo sistemico era evidente nella condizione di vulnerabilità in cui era stato posto Ogorchukwu, costretto a fare il venditore ambulante per vivere.
A ciò si aggiunge il fatto che, a distanza di oltre due mesi, ancora non si è svolto il funerale (previsto il primo ottobre, dopo molti rinvii) poiché i parenti della vittima che vivono in Nigeria sono ancora privi di visto per poter arrivare in Italia — e questo si collega a un altro aspetto del razzismo istituzionale che riguarda il diritto alla libertà di movimento, divenuto un privilegio per pochi a causa di leggi sempre più restrittive.
La partecipazione politica delle persone di origine straniera in Italia esiste e i contributi — dall’attivismo alla sfera culturale — sono sempre più numerosi.
Le istituzioni dovrebbero prendere atto del fatto che l’Italia sta cambiando e che le urgenti richieste che emergono dalle lotte antirazziste per i diritti sociali e civili delle persone di origine straniera non possono più essere ignorate.