Articoli e inchieste

Ragionando di constitutional memory: il caso cileno


Reading time: minutes

Dopo essersi auto-attribuita un ruolo costituente, la Giunta militare guidata da Pinochet sottoponeva il testo redatto a una farsa popolare, chiamando i cileni ad accogliere con plebiscito una nuova Costituzione Cile: era il 1980 quando la Ley del tirano inaugura per il Cile una stagione di esasperante neoliberismo e autoritarismo costituzionale.

Il testo, infatti, aderendo senza riserve alla dottrina della Scuola di Chicago, costituzionalizzava la privatizzazione di tutti i servizi sociali, neutralizzando i diritti sociali e al contempo poneva le basi per il consolidarsi di uno stato di polizia fondato sulla limitazione, quando non proprio messa al bando dei più elementari diritti fondamentali. Attraverso la previsione di maggioranze qualificate per la sua modifica, il controllo politico della giustizia costituzionale, la presenza delle forze armate nel Parlamento, la Costituzione del 1980 si presentava, quindi, sin dall’inizio come strumento di controllo e perpetrazione del potere dittatoriale.

Nuova Costituzione Cile 1980

Per quanto la Costituzione del 1980 sia stata rimaneggiata nel corso dei decenni, sino a perdere formalmente ogni richiamo esplicito alle sue origini, quel peccato originale che risiede nel suo DNA (l’essere, cioè, stata concepita per volontà di un sistema autocratico, repressivo, nato per mano della violenza) ha continuato, di fatto, a condizionare la sua stessa capacità di autorigenerarsi.

È mancato lo spazio politico-istituzionale per aprirsi a un nuovo modello economico e sociale e nell’impresa di rinnovamento sono falliti, una e più volte, gli stessi governi progressisti di sinistra.

Non formalizzata e capace di adattarsi ai cambiamenti costituzionali, la forma politica istituzionalizzata, che si era già forgiata negli anni che hanno preceduto la transizione alla democrazia, ha avuto la meglio su ogni tentativo di cambiamento, compreso quello che si è consumato da ultimo con l’avvio di un processo costituente che avrebbe dovuto spazzare via ogni resto del passato e che invece dai resti di quel passato è stato travolto.

Legittimazione popolare latente

Per concepire fino in fondo la portata delle rivendicazioni costituenti in Cile è necessario ricordare che ogni costituzione è per sua natura un testo politico oltre che giuridico, la cui validità è sancita dall’esistenza di una legittimazione popolare prima che normativa. Nel caso cileno, in particolare, appare chiaro che quella legittimazione non si è del tutto consolidata, né mai avrebbe potuto.

Ideata a partire dal 1973 ed elaborata all’interno della cerchia dei collaboratori più vicini al dittatore, la costituzione del 1980 era stata pensata con l’intento di preservare il connubio di potere rappresentato dall’unione della destra conservatrice con le forze armate cilene, garantendo al contempo la restaurazione di quel minimo di legalità costituzionale necessaria per dare al Cile agibilità sul piano internazionale.

Pur ipotizzando l’uscita del Cile da uno stato di repressione dittatoriale, di fatto s’imponeva al Paese una struttura che finiva con l’ipotecare l’esito di qualsiasi processo di transizione alla democrazia.

Un’eredità vivente del suo regime

È pertanto opinione di chi scrive, che qualsiasi spazio di dialettica democratica successivamente aperto fosse destinato a essere soffocato da processi di ripresentificazione del passato, riattivati dalla stessa vigenza del testo costituzionale. In quanto espressione di un processo costituente aperto e concluso da Augusto Pinochet, infatti, la Costituzione del 1980 non ha potuto che farsi eredità vivente del suo regime. Ed è così che è stata percepita, da sempre: oggetto esemplare di memoria, monumento al passato, origine di un conflitto memoriale latente e irrisolto.

Del resto, le Costituzioni sono carte che per loro natura sono in grado di registrare le continuità e le discontinuità di una comunità dal punto di vista storico. Siano esse pensate in senso programmatico o di bilancio, sappiamo che sono testi che reagiscono sempre a eventi del passato in funzione del futuro: ed è per questo che possono essere considerate esse stesse strumento di memoria pubblica istituzionalizzata.

Riconosciamo il valore memoriale dei preamboli, ma raramente ci soffermiamo a guardare alla costituzione come “memoriale”, che, confermando quotidianamente la sua validità (anche dal punto di vista valoriale) mira a creare consapevolezza, con la sua rinnovata vigenza.

Nuova costituzione Cile. Constitutional memory

Come accade con altri strumenti memoriali, anche attraverso le carte costituzionali, infatti, si contribuisce a canonizzare e selezionare una interpretazione del passato, per porre le basi valoriali di un sistema legale e politico, avviando un’attività giustamente definita di constitutional memory.

Quanto andiamo dicendo getta nuova luce sulle ragioni della recente foga costituente cilena. Ci aiuta a comprendere, per esempio, perché la Costituzione del 1980, approvata da Pinochet, pur non conservando tracce del suo promotore, non ha mai cessato né cessa di essere “la Costituzione di Pinochet”: essa registra una continuità, laddove il popolo da tempo chiede di marcare una cesura; perpetra dinamiche che, seppur superate dalle revisioni costituzionali, stanno alla base di quelle stesse trasformazioni, come un peccato originale appunto, inficiandone la legittimità.

Un lungo processo

Parrebbe una questione meramente simbolica. È vero, invece, che sono in gioco aspetti decisamente sostanziali, legati alle modalità con cui la Repubblica cilena è transitata alla democrazia. L’abbandono delle regole che hanno sostenuto le dinamiche di regime sin dal 1980 è avvenuto mediante un processo diluito nel tempo, un tempo troppo lungo per non rischiare di far perdere al testo costituzionale ogni prospettiva di legittimità.

Si pensi che ancora nel 2015 e da ultimo nel 2017, si è dovuto mettere mano al sistema elettorale, superando il modello binominale, ossia uno dei fattori che da decenni è riconosciuto come causa della difficoltà nel dare impulso al percorso di transizione cileno.

E se questo è vero in merito alle regole, la situazione non può che farsi più stagnante per quel che concerne la prassi sulla quale è andata consolidandosi una formula politica istituzionalizzata contro cui, sovente, le stesse riforme si sono scontrate, perdendo di impatto. Se è vero che il Plebiscito del 1989 è ricordato come un punto di svolta, alba di una nuova epoca che ha portato il Cile fuori da uno dei periodi più bui della sua storia, non va dimenticato che il legittimo entusiasmo per quel risultato popolare e per il suo significato deve essere mitigato alla luce del giudizio (questo sì, poco entusiasta) rispetto a quanto si fece a partire dal 1990.

Passaggio alla democrazia

Il passaggio alla democrazia fu inevitabilmente segnato da negoziati e compromessi quotidiani: dunque, democrazia sì, ma solo nella misura in cui il contesto politico permetteva. Il profilo del nuovo Cile fu così tracciato d’accordo con le forze dell’opposizione, che sino a ieri avevano alimentato le file del regime, nonché dalle Forze Armate.

La transizione fu, dunque, troppo annacquata, nei contenuti e nei tempi, per poter far avvertire le trasformazioni in atto come segnali di cambiamento profondo che interessavano non solo le procedure, ma anche l’essenza del sistema.

Stando così le cose, non poteva più importare se la Costituzione in vigore avesse o non avesse ancora, tra i suoi articoli, residui di Pinochet: nell’immaginario collettivo essa resta la Costituzione “di Pinochet” segnando una sostanziale persistenza del passato nel presente; la Costituzione, in quanto luogo memoriale nella sua essenza, può contribuire, come aveva fatto per anni, a ripresentificare e pietrificare un periodo della storia che, invece, avrebbe dovuto essere chiuso da tempo. Per questo la protesta sociale è divenuta lotta istituzionale. Appariva quindi necessaria una nuova Costituzione, con fine di scrivere una nuova memoria.

Realtà vs aspettative

Sfortunatamente però la realtà è sempre un po’ più complicata rispetto alle aspettative. Per poter incidere sull’assetto istituzionale cileno era necessario circoscrivere il ruolo degli attori politici che negli ultimi cinquanta anni hanno calcato la scena istituzionale del Paese. Da qui lo spazio riconosciuto nel processo costituente avviato alle donne, alle popolazioni indigene, alla società civile. D’altra parte, non si è tenuto conto del fatto che, paradossalmente, sarebbero stati quegli stessi attori politici, i partiti politici in primo luogo, il cui potere si voleva arginare, a gestire l’iter di entrata in vigore del nuovo testo costituzionale.

Quella vischiosità e continuità di cui si parlava ha finito con il caratterizzare anche quest’ultimo tentativo di riforma, sino a schiantarlo, alimentando un discorso populista, fondato su paure e contrapposizioni, che poco si adatta all’enfasi costituente.

Dopo il rechazo si è aperta una nuova fase di riforma. Le prospettive di cambiamento appaiono sicuramente più modeste, tenuto conto del peso assunto dalle forze di destra, e non è detto che il nuovo assetto istituzionale sappia fare piazza pulita del passato… ma se si tratterà di “un’altra” Costituzione, e si saranno poste comunque le basi per avviare un nuovo percorso memoriale, allora forse ci sarà spazio per nuovi orizzonti culturali sul piano politico.

La memoria pubblica non è mai detta una volta per tutte, ma è pur vero che le trasformazioni nell’arena memoriale in un contesto di costituzionalismo democratico poco si adattano a repentini stravolgimenti dialettici e sono refrattarie agli assoli. Bisognerà piuttosto affidarsi all’arte del discorso dialogico e abituarci all’idea di una memoria polifonica, l’unica adatta a uno sguardo plurale e pertanto inclusivo sul passato.

The Foundation recommends to you

Restiamo in contatto