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Come la mentalità di guerra ha cambiato la democrazia statunitense | #AmericaAnnoZero


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Questo articolo fa parte di America Anno Zero, rubrica editoriale de La Nostra città futura dedicata alle elezioni statunitensi. Leggi qui gli altri approfondimenti di America Anno Zero.

“Noi contro loro” è diventato la vera forza sotterranea che muove la politica negli Stati Uniti, dove i programmi politici passano in secondo piano rispetto allo scontro tra posizioni identitarie sempre più inconciliabili

All’indomani della sentenza della Corte suprema Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization che ha annullato la precedente Roe v. Wade in materia di libertà di accesso all’aborto, il New York Times ha organizzato un focus group con la presenza di cittadini di varia estrazione geografica, sociale e professionale, appartenenza etnica, razziale e di genere, che si dichiaravano sia “pro-choice” sia “pro-life”.

Lo scopo era non solo quello di avere un primo riscontro rispetto all’impatto di una decisione cruciale per la tutela dei diritti sociali e riproduttivi delle donne, ma anche per capire se vi è la possibilità di un dialogo fra persone che si pongono su fronti opposti su una questione divisiva come l’aborto.

In realtà alla domanda “se dovete usare una sola parola per indicare la vostra maggiore preoccupazione riguardo gli Stati Uniti o la società americana, quale indichereste?”, le risposte prevalenti sono state: divisione, polarizzazione, insicurezza, disunione, estremismo, pazzia, oltre a inflazione, terrorismo, armi.

Anne, una donna bianca di 64 anni, proveniente dal Michigan, di professione graphic designer, che si definisce “indipendente” dal punto di vista politico, ha risposto: “Tutto. Le persone si sentono da una parte o dall’altra della barricata per quello che riguarda il Covid, le relazioni razziali, l’aborto, i diritti delle donne. Non c’è possibilità di dialogo fra queste diverse fazioni”.

Per quanto il tema della divisione domini il dibattito pubblico e politico statunitense negli ultimi anni, esso non rappresenta tuttavia una novità per chi presta attenzione alle dinamiche di una società, come quella statunitense, che ormai da più di 60 anni sta cercando di trovare un suo punto di equilibrio. Non casualmente la parola “guerra” è quella più usata, metaforicamente e non, nel linguaggio politico statunitense, al pari della costante invocazione di una “civility” in grado di creare una cornice discorsiva comune e di rispetto reciproco che però sembra costantemente superata dall’ennesimo scontro o, peggio, dall’ennesima dimostrazione di violenza armata.

Più che la “civility”, è la guerra quella che sembra meglio rappresentare lo sfondo, il contesto, la sostanza di una discussione pubblica e politica che ha plasmato, in modo molto più pervasivo di quanto forse non si è stati consapevoli, la mentalità e le strutture profonde della comunità americana: il confronto noi/gli altri; l’avversario come nemico, fuori dal “circolo del noi”, un-American; gli stati rossi (repubblicani) e quelli blu (democratici); il corto circuito fra libertà e sicurezza; la necessità di salvaguardare i confini etnici, razziali e di genere di una comunità plurale fin dalle origini.

republicans and democrats
Republicans did it. They did it. Democrats did it.

E d’altra parte, forse non appare così strano per una nazione costantemente impegnata da più di un secolo in guerre dichiarate e non dichiarate, formali e informali, ibride o per procura.

The fog of war è penetrata nello spirito e nella mentalità di una nazione che deve costantemente fare i conti con la costruzione del nemico interno ed esterno, e l’esperienza della guerra è qualcosa che ormai attraversa generazioni di americani e si è insinuata nelle comunità.

Guerre non sempre giuste – Vietnam docet – che hanno costantemente messo in tensione gli ideali e i valori democratici americani con la realtà dell’esercizio di potenza, un trauma individuale e collettivo narrato da scrittori e romanzieri come Stephen Markley nel suo Ohio, che racconta una comunità logorata, divisa e traumatizzata proprio dall’esperienza vissuta dai veterani. Forse bisognerebbe tenere presente questo malessere di fondo che attraversa una società costantemente in guerra per comprendere come sia stata possibile la penetrazione del messaggio trumpiano che, esaltando le virtù dell’eccezionalismo e dell’esperienza storica americana, è riuscito nell’intento di dare senso e significato all’esperienza bellica, utilizzando i valori del patriottismo, dell’individuo in armi e dell’America bianca.

La guerra – civile fredda, come spesso è stata definita quella interna – lascia sempre macerie, feriti, lutti. La contrapposizione feroce fra conservatori e liberal, repubblicani e democratici sta mettendo a dura prova il sistema politico e costituzionale americano. La presidenza Biden, che sembrava poter individuare una via d’uscita alla guerra scatenata da Trump e dai suoi accoliti (guerra vera, come l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 aveva dimostrato e come sta emergendo in modo drammatico dalle udienze in Congresso), si è incagliata negli scogli dell’inflazione, della crisi economica, delle resistenze all’interno del suo stesso partito, che gli ha impedito di far approvare il grande piano di finanziamento alle infrastrutture Build Back Better e più recentemente la legge sul cambiamento climatico.

La percentuale di gradimento del Presidente in carica è fra le più basse registrate nella storia recente della presidenza (un risicato 38% in media), mettendo in serio pericolo la possibilità di una sua (già improbabile?) rielezione. La stessa vicepresidente Kamala Harris, inopportunamente celebrata da qualche giornale italiano come il fulcro della nuova presidenza, è in difficoltà e non gode di buona stampa, nonostante sia quella che con più forza ed efficacia si è espressa contro la decisione della Corte suprema sull’aborto.

Joe Biden e Kamala Harris
Presidente Joe Biden e la vicepresidente Kamala Harris

Le recenti sentenze della Corte suprema – contro Roe v. Wade, sul redistricting, sul depotenziamento dell’agenzia federale sull’ambiente – sono tuttavia qualcosa di più che l’espressione di una maggioranza conservatrice.

Di fronte alla disfunzionalità di un Congresso bloccato da veti reciproci, la Corte, come è già successo nella storia statunitense, ha colmato un vuoto politico (come spesso accade anche altrove),intervenendo laddove la politica aveva dimostrato di non poter o voler agire.

Ma, a differenza del passato, il pronunciamento della Corte si insinua in uno scontro politico senza precedenti, contro la maggioranza dell’opinione pubblica americana (a favore dell’aborto come pure di politiche di contrasto al cambiamento climatico e per una maggiore giustizia in termini di accesso alla rappresentanza politica), a favore di un partito, quello repubblicano, minoritario nel Paese, che mantiene il controllo (o tiene in scacco il sistema) in virtù di un sistema elettorale tanto farraginoso quanto ingiusto, con i continui attacchi, attraverso norme sempre più restrittive, ai diritti politici delle minoranze etniche e razziali.

La sentenza della Corte sull’aborto può sicuramente costituire un incentivo per la mobilitazione dell’elettorato femminile e il partito democratico potrebbe di nuovo guadagnare dal cosiddetto gender gap (le donne votano più degli uomini e in prevalenza per il partito democratico). Tuttavia, la spirale inflattiva, la più alta degli ultimi 40 anni, che solleva scenari foschi e riporta all’interno dell’immaginario americano il fantasma della “crisi di fiducia” di carteriana memoria, sarà lo strumento usato dal partito repubblicano (che peraltro non può completamente sconfessare Trump) per riprendere il controllo del Congresso perché in questo modo può far leva sulle ansie di elettori appartenenti a minoranze, come quella ispanica, sensibili ai temi della crisi economica.

Le elezioni di metà mandato costituiranno quindi un test decisivo non solo per il futuro della presidenza Biden e per la possibilità di mantenere il controllo democratico sulla presidenza, ma per la tenuta del sistema stesso.

Una vittoria repubblicana, unita a una Corte sempre più assertiva in senso conservatore, metterà a dura prova il sistema costituzionale dei pesi e contrappesi. L’augurio è che il sistema non soccomba definitivamente sotto il macigno dei venti di guerra.

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