Nel contesto delle democrazie occidentali, e in particolare per gli Stati membri dell’Unione Europea, la questione ambientale (o ecologica) è sempre più centrale nel panorama politico.
L’attivismo delle istituzioni europee, in particolare in seguito alla nomina di Ursula Von der Leyen a capo della Commissione europea, ha avuto un ruolo preponderante nel definire obiettivi e strategie di lungo periodo in questo ambito, nonché nel mettere a disposizione importanti risorse finanziarie: si pensi ai diversi documenti presentati dalla Commissione stessa, come lo European Green Deal, la discussione circa il pacchetto di politiche Fit for 55 e i fondi relativi ad altre policy quali il Just Transition Fund e il Next Generation EU.
Una delle questioni principali che emerge dal pacchetto Fit for 55 è infatti relativa al cosiddetto processo di decarbonizzazione, concetto a “due facce” che vuole significare sia l’abbandono del carbone come materia prima per il comparto energetico e industriale sia la progressiva riduzione delle emissioni di anidride carbonica (gas serra climalterante) fino a raggiungere, nelle parole della Commissione, la “neutralità carbonica” entro il 2050, ovvero raggiungere un computo netto di emissioni di CO2 pari a zero per gli Stati membri dell’Ue.
Implementazione delle strategie
Tuttavia, l’implementazione delle strategie e la loro concretizzazione è sostanzialmente oggetto di politica nazionale. Ciò interessa in particolare gli ambiti strettamente connessi alla questione ecologica, ovvero, oltre alla politica ambientale in senso stretto, la politica energetica e la politica industriale.
Il nodo del processo di decarbonizzazione riguarda infatti la sua messa in atto, che avrà un impatto decisivo su ampi comparti industriali. La produzione industriale ed energetica in Occidente è infatti per una buona parte ancorata ai combustibili fossili, quali appunto il carbone (utilizzato nel ciclo di produzione primaria dell’acciaio e come fonte di energia elettrica) e il gas, nonché i derivati del petrolio. L’industria primaria (petrolchimico, acciaio, cemento), base della produzione di valore aggiunto nelle nazioni industrializzate, risulta quindi fortemente dipendente da quelle stesse materie prime che negli obiettivi definiti dalla Commissione dovrebbero essere abbandonate, in funzione della tutela ambientale.
Come coniugare quindi gli obiettivi economici (mantenere la produzione industriale europea) con gli obiettivi ambientali (decarbonizzare)? E ancora, considerata la portata occupazionale di questi settori e l’importanza economica che essi rivestono nei territori in cui sono inseriti, come affrontare le conseguenze sociali (disoccupazione, povertà) della decarbonizzazione, che ci si aspetta colpiranno per lo più gli operai e le loro famiglie?
Definito il contesto, e gli interrogativi che da esso emergono, occorre ora porre l’accento sulle risposte, quindi sulla politica.
Per quanto riguarda il contesto italiano, seppur con una trattazione parziale, l’idea è qui quella di confrontare le posizioni di Fratelli d’Italia e del Partito Democratico, i due partiti che secondo i sondaggi rivestono il primo e il secondo posto nelle preferenze degli elettori. Il confronto non è da considerarsi organico, data l’assenza di documenti precisamente comparabili e l’indisponibilità al momento della piattaforma programmatica del Partito Democratico. Tuttavia, sono a disposizione due lettere, una scritta da Giorgia Meloni al Corriere della Sera e un’altra da Andrea Orlando (ministro del Lavoro) ed Enzo Amendola (sottosegretario agli Affari europei) al Foglio, nonché il documento pubblicato da Fratelli d’Italia a seguito della conferenza programmatica tenutasi a Milano a fine aprile. Nell’ottica delle elezioni del 25 settembre, i documenti a disposizione forniscono delle informazioni di massima, delle linee guida intorno alle quali orientare il posizionamento delle diverse forze politiche.
La posizione di Fratelli d’Italia
Partendo da Fratelli d’Italia, vi sono riferimenti alla questione ambientale in due sezioni della conferenza programmatica: ambiente ed energia articolata intorno a due “decaloghi”; imprese e mondi produttivi. Nella prima sezione analizzata, al punto 4 del “decalogo dei Conservatori” (a tema ambiente) il Green Deal europeo viene definito una “violenta campagna contro le nostre imprese, una furia ideologica con opachi interessi economici”; vi è di seguito, al punto 8, una posizione critica circa le energie rinnovabili le cui “esternalità negative sono sottovalutate, basti pensare alla devastazione prodotta dalle miniere cinesi di cobalto o nichel”.
Nella sezione inerente all’industria (“imprese e mondi produttivi”), i punti rilevanti sono il 3 e il 4. Nel 3 (“obiettivi Ue sul clima”) vi è esplicitato come gli obiettivi Ue sul clima siano “irrealistici” e che costituiscano “un aggravio insostenibile per il sistema produttivo italiano”: l’idea, espressa nelle righe successive, è che senza delle barriere “in ingresso” al mercato unico europeo, la perdita di competitività successiva all’adozione di modi di produzione meno inquinanti induca uno svantaggio per le economie comunitarie a discapito dei Paesi asiatici.
La conseguenza di questa considerazione prende corpo al punto 4 (“incremento dei costi energetici e sovranità energetica”), nel quale si richiede “la revisione degli obiettivi green dettati in sede comunitaria, sia nel merito che nei tempi di attuazione”. L’altro documento a disposizione, ovvero la lettera inviata da Meloni al Corriere della Sera in seguito all’emergenza siccità ha una natura invece più strettamente tecnica e rivendicativa. Nel documento vengono infatti proposte delle soluzioni concrete alla crisi idrica che da questa primavera interessa vaste aree del Paese, attraverso interventi quali la razionalizzazione della distribuzione dell’acqua e la messa in studio di progetti di desalinizzazione; nel fare ciò la Presidente di Fratelli d’Italia denuncia l’inazione del governo e la sua inefficacia.
La posizione del Partito democratico
Passando ora al Partito Democratico, nella lettera di Orlando e Amendola al Foglio è definita la posizione del “riformismo sostenibile”, ovvero un “metodo politico” utile a orientare “la nuova rivoluzione industriale su scala globale”. Il primo passaggio rilevante del documento, dopo la rassegna delle politiche comunitarie a tema ambientale, riguarda la “governance della transizione”, considerata sì come una necessità, ma alla cui realizzazione si frappongono diversi ostacoli.
Il primo ostacolo riguarda gli obiettivi che la politica industriale (nazionale) deve porsi nell’ambito della transizione: decarbonizzazione non deve significare deindustrializzazione, e a tale scopo vanno previsti importanti investimenti, in modo da sviluppare le tecnologie necessarie a una produzione meno impattante sul clima. Il secondo ostacolo riguarda l’impatto sociale della transizione ecologica. Si parla a tale scopo di una “attenzione a tutte le filiere soggette a trasformazione, anche quelle più complesse: […] i settori cosiddetti ‘hard-to-abate’, nelle quali è più difficile ridurre in modo drastico le emissioni (acciaio, cemento […]”. Si parla anche in questo caso di investimenti, e dei diversi fondi a disposizione, oltre che al Next Generation, quali InvestEU, RePowerEU per l’energia e Horizon per la ricerca.
Tuttavia, per Fdi la politicizzazione della questione ambientale si accompagna a posizioni critiche circa il framework più ampio dell’European Green Deal, mentre non vi sono riferimenti puntuali a decarbonizzazione o più in generale alle sfide di natura industriale ed energetica e quindi sociale che si accompagnano al progetto di transizione ecologica.
Per il Pd, invece, la questione ambientale si risolve nel suo appoggio alle strategie europee circa la transizione ecologica. Rischi sociali e opportunità non sono tuttavia trattati in modo puntale: l’accento viene altresì posto sul nuovo orientamento delle istituzioni europee, non più solamente legate alla definizione di standard e di norme per la competizione, ma in primo luogo impegnate nell’adozione di strategie politiche di lungo periodo e nella messa a disposizione delle risorse necessarie per raggiungere gli obiettivi di tali strategie.