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Grammatica del lavoro e del welfare. Tra vecchie e nuove povertà: Istantanee in movimento


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I risultati emersi dal workshop “Grammatica del lavoro e del welfare. Tra vecchie e nuove povertà: Istantanee in movimentoci consentono di creare un quadro esaustivo utile a comprendere i fenomeni di povertà in Italia, sia in relazione alla povertà assoluta e relativa, che in relazione alle “nuove povertà” che stanno emergendo come portato del fenomeno pandemico, dei fenomeni inflazionistici legati alla compressione dei consumi nella cornice COVID e dell’aumento dei prezzi dell’energia nel quadro della guerra in Ucraina. 

Una fotografia della povertà


1) Dagli anni ’80 in poi, i gruppi più colpiti dalla povertà assoluta sono i minori e le famiglie numerose: nel 2018, prima cioè della crisi COVID, la povertà assoluta riguardava il 9,7% di famiglie con un minore, l’11,1% di famiglie con 2 figli minori, il 19,7% delle famiglie con 3 o più figli minori (Openpolis 2020). Al contrario, la povertà assoluta sembra riguardare molto meno gli anziani: nel 2020, cioè in piena pandemia, l’incidenza di povertà assoluta era al 5,6% tra le famiglie con almeno un anziano, mentre è al 3,7% in nuclei famigliari dove l’età della persona di riferimento è superiore a 64 anni (Secondo Welfare 2020).

 


2) Permane un enorme divario su base regionale e territoriale quando parliamo di povertà. In questo senso, è importante guardare alla condizione territoriale e locale: la povertà è particolarmente diffusa nel Mezzogiorno, ma dalla Grande Recessione in poi, questa ha rotto gli argini anche al Nord. Nel 2019, la povertà nel Mezzogiorno d’Italia riguardava l’8,4% delle famiglie residenti: questo dato è salito all’9,4% nel 2020. L’aumento relativo della povertà assoluta è stato ancora più marcato nel Nord Italia: dal 5,8% di famiglie (residenti) in povertà assoluta nel 2019, si è passati al 7,6% nel 2020 (Istat 2020). 

 


3) La povertà tra i minori: secondo gli ultimi dati Istat, la quota di minori in povertà, che già tra il periodo del 2019 e del 2022 aveva già fatto registrare una crescita, è aumentata di 0,7 punti percentuali nel 2021,

nel 2022 14,2 minori su 100 si trovano in una condizione di povertà 


4) Il fenomeno della povertà è particolarmente rilevante all’interno della popolazione straniera. Questo è un fenomeno che riguarda sia Milano che le sue aree periferiche. Alcuni dati ci possono dare indicazioni rilevanti sulla stratificazione della povertà assoluta:

tra le famiglie in situazione di povertà assoluta si registra un 30% di famiglie che hanno almeno un componente straniero 

5) In Italia, il fenomeno della working poverty è molto diffuso, ed è un elemento perdurante del modello economico italiano. Nel 2020 (dato ISTAT), 7,10% persone che lavoravano versavano in condizioni di povertà assoluta; tra questi, il 13,2% svolgevano la mansione di operaio.


 

 Se guardiamo alla dinamica di sviluppo del fenomeno di povertà assoluta, negli ultimi 15 anni si è registrata un’enorme crescita.

Nel 2007, prima della Grande Recessione, il 3% dei residenti italiani versavano in condizioni di povertà assoluta. Questo dato è salito al 7,7% nel 2019, attestandosi al 9,4% nel 2021.


In valore assoluto, in soli 10 anni, si è avuta una crescita del fenomeno che ha riguardato 5,5 milioni di residenti italiani.

Secondo gli ultimi dati pubblicati da Istat, la povertà è rimasta stabile in Italia: l’incidenza sul totale degli individui è rimasta uguale a quella del 2020 (9,4 per cento, pari a 5,6 milioni di persone), mentre quella delle famiglie è leggermente calata a 7,5 per cento (quasi 2 milioni di famiglie) da 7,7 nel 2020. 

 


Come leggere e misurare un fenomeno in evoluzione 


Possiamo identificare quattro aspetti che possono aiutarci a comprendere il fenomeno della povertà sia in termini generali che nelle sue declinazioni a livello locale. 

Un fenomeno multidimensionale: la povertà è una, ma ha molte dimensioni rilevanti. Secondo il sociologo David Benassi (Università Bicocca) si possono identificare almeno 10 dimensioni che concorrono alla generazione dei fenomeni di impoverimento. Nella pratica, queste dimensioni si intersecano e contribuiscono assieme a determinare fenomeni di povertà: idealmente, un intervento di contrasto efficace dovrebbe tenere conto di tutte queste dimensioni, intervenendo su quelle che presentano criticità. 

Approfondiamo queste dimensioni

La prima è l’inclusione scolastica, dovuta all’eterogeneità presenti nel sistema educativo italiano: questo determina cluster scolastici ‘meno performanti’ dove è più facile che si annidino cause per la futura povertà dei giovani.

La seconda dimensione è quella della salute, considerata un predittore molto solido di vulnerabilità, sia a livello individuale che territoriale: la ‘salute’ della comunità è fortemente correlata ad altre dimensioni di vantaggio e svantaggio sociale.

La terza dimensione è data dalla presenza di reti sociali di supporto, che possono aiutare le istituzioni nell’individuare e prevenire situazioni di povertà: nei territori dove il capitale sociale è minore, viene meno un’importante alleato nel combattere la povertà.

La quarta dimensione è data dalla qualità e accessibilità delle infrastrutture, siano queste infrastrutture di mobilità, esercizi commerciali, infrastrutture formative e aggregative. L’assenza di queste infrastrutture può contribuire all’esclusione sociale.

La quinta dimensione è data dalla sicurezza economica: avere poche risorse economiche, può rendere difficile l’interazione sociale su base continuativa.

La sesta dimensione è data dalla qualità e dalla sostenibilità dell’abitare: trattandosi di un bisogno primario, l’assenza di abitare sostenibile può, come con la salute, avere un impatto negativo sulle altre dimensioni e generare quindi variazioni in negativo nella possibilità di condurre una vita dignitosa.

La settima dimensione è data dalla presenza di welfare e di ecosistemi di supporto che possano creare effettivi percorsi di emersione dalla povertà.

L’ottava dimensione è il livello e la qualità occupazionale: gli outsider del mercato del lavoro, come donne e giovani sono più soggetti a fenomeni di precarizzazione e di working poverty.  

La nona dimensione è la qualità dell’ambiente: l’assenza di spazi verdi incide negativamente sia su salute che su benessere psicofisico; vengono inoltre a mancare spazi di socialità necessari per la creazione e il mantenimento del capitale sociale.

Infine vi è la distribuzione del reddito: dove le differenze economiche sono molto accentuate, è più facile una stratificazione sociale iniqua che mina la coesione sociale.


Nuove povertà


La povertà non è più quella di una volta. Nel periodo del boom economico, le cause della povertà erano legate a specifici percorsi di vita. In questo senso, la povertà era un fenomeno più facile da prevedere e da monitorare.

Con la deregolamentazione del mercato del lavoro, il calo del potere d’acquisto della classe media, la disoccupazione di lungo periodo e l’aumento di fenomeni migratori, la povertà si è trasformata.

La nuova povertà non è più ‘certa’ come lo era la ‘vecchia’ povertà: è qualcosa che può capitare a chiunque, per cause diverse: la perdita di lavoro, il non rinnovo dei contratti, la presenza di malattie o disabilità, le diverse fasi di vita o persino l’area di residenza.

Questi fenomeni, legati a un trend generale presente in tutti i Paesi c.d. avanzati diventa particolarmente rilevante in Italia, dove il sistema di welfare ha fatto poco per adattarsi al nuovo contesto.  

In particolare, la prevalenza di prestazioni basate su trasferimenti monetari su base occupazionale impedisce di intercettare situazioni di povertà legate all’assenza di lavoro.

In questo senso, occorre adeguare il welfare italiano ai nuovi trend del welfare europeo, che cercano di intervenire sulla povertà in chiave pre-capacitiva, fornendo cioè strumenti e competenze che possano prevenire l’emergere di situazioni di fragilità, sia dentro che fuori dal mercato del lavoro.

Guardare alle nuove povertà, significa inoltre indagare l’impatto di shock esogeni sul fenomeno: la situazione pandemica è andata a impattare sui fenomeni di povertà già esistenti, aggravandoli. Ha inoltre fatto emergere nuovi profili a rischio di povertà, categorie che in passato non erano considerate fragili ma che lo sono diventate nel contesto delle misure di mitigazione e adattamento adottate dai governi europei per far fronte all’emergenza COVID.

In questo senso, i dati europei, soprattutto nel contesto dell’Europa meridionale, sono allineati con il dato italiano, come mostrano le analisi del World Economic Forum.

In primo luogo, la fascia la cui situazione sociale è peggiorata in modo più accentuato è quella dei lavoratori autonomi, le cui attività lavorative sono state colpite gravemente dalle restrizioni alla circolazione nell’ambito dei lockdown


L’assenza di adeguate protezioni per questa fascia di lavoratori ha contribuito ad un peggioramento della loro situazione relativa, determinando un arretramento economico spesso sfociato in situazioni di povertà assoluta.

In secondo luogo, sono stati danneggiati i lavoratori atipici e precari di varia natura. In questo senso, il COVID ha promosso l’ulteriore precarizzazione della società italiana. Il precariato contribuisce in modo determinante a situazioni di povertà assoluta, determinando la mancanza di identità professionale ed effetti psicologici avversi come anomia e alienazione.


La (non) cultura del dato in Italia


Nel Paese, la disponibilità di indicatori a livello quantitativo a varie disaggregazioni territoriali (locale, regionale, nazionale) è ancora meno sviluppata che in altri Paesi avanzati.

Negli Stati Uniti, per esempio, sono disponibili dati statistici che indicano le percentuali di quanti vivono in povertà disaggregate a livello di quartiere: questo consente non solo analisi estremamente dettagliate e una fotografia con un rapporto quasi 1:1 del fenomeno, ma anche di strutturare misure di contrasto alla povertà che consentano di identificare fenomeni emergenti di povertà e intervenire tempestivamente.

Le banche dati in Italia sono ancora molto legate al dato nazionale, mentre spesso si fatica a trovare dati comparabili a livello regionale; a livello locale la variabilità è ancora maggiore.

Questo può avere due conseguenze: 

In primo luogo, dal punto di vista conoscitivo, risulta difficile identificare i regimi di povertà locale: sappiamo dove sussiste una concentrazione di famiglie in situazione di povertà, anche a livello di quartiere, ma mancano tutta una serie di indicatori quali-quantitativi, a livello locale, che ci aiutino ad identificare le cause della povertà.

In secondo luogo, la scarsa conoscenza delle varie declinazioni locali dei regimi di povertà, e quindi l’assenza di un’analisi di contesto, rende difficile per i policymaker – istituzioni pubbliche e associazioni del Terzo Settore – creare misure di contrasto alla povertà che siano su misura rispetto alla realtà locale, e configurarsi come ecosistemi locali di supporto efficaci: cioè facendo squadra (tra pubblico e privato), identificando gli individui esposti alla povertà e accompagnandoli nel percorso di emersione nel quadro delle misure e dei servizi locali di contrasto alla povertà.

In questo modo è possibile agire in termini non solo formali ma anche sostanziali, identificando cioè le risorse “strumentali” per aiutare i cittadini a emergere da una situazione di povertà garantendo loro il diritto soggettivo all’accompagnamento.

Se da un lato assistiamo alla difficoltà di raccogliere, sistematizzare e reperire il dato, dall’altro lato le comunità epistemiche e di pratica hanno prodotto studi, a livello locale, che presentano fotografie del fenomeno innovative, usando indicatori non-convenzionali per integrare le banche dati esistenti.

Un esempio è dato dallo studio dell’Università Bicocca sulla salute della popolazione nelle Provincie di Varese e Como, che ha messo in luce la correlazione tra salute e status economico. Sulla base di un indicatore multidimensionale, lo studio è stato in grado di creare una mappa dinamica della delle disuguaglianze sociali e delle condizioni di povertà sul territorio preso in analisi, mostrando così un’istantanea in movimento del regime di povertà locale.

 


Alcune pratiche virtuose


In aggiunta allo studio menzionato, nello scenario nazionale, esistono una serie di progetti, esercitati da attori pubblici e privati, che agiscono per innovare l’azione di contrasto alla povertà tra i quali: 

Poverty maps (Forum Disuguaglianze e Diversità), è un progetto svolto in collaborazione con il Dipartimento delle Politiche di Coesione (Presidenza del Consiglio dei ministri) che si è occupato di mappare il disagio socio-economico nelle 14 città metropolitane italiane, fornendo un importante base conoscitiva e metodologica per mappare il fenomeno della povertà a livello locale.

Welfare Innovation Local Lab (IFEL-ANCI), è un progetto che ha visto la collaborazione con Secondo Welfare (Università degli Studi di Milano) e il CERGAS (SDA Bocconi) per individuare interventi di contrasto alla povertà in 10 Comuni capoluogo di Provincia di 4 regioni. Il progetto prevede il coinvolgimento attivo del Terzo Settore.

Welfare in azione (Fondazione Cariplo), promuove sperimentazioni innovative per migliorare il welfare di comunità. Il progetto intende contribuire a innovare l’attuale sistema di welfare sostenendo  sperimentazioni che sappiano attivare  risposte più efficaci, efficienti ed eque, rafforzando la dimensione comunitaria, coinvolgendo la società e i cittadini in processi partecipati e rendendo così maggiormente incisiva, stabile e sostenibile l’innovazione prodotta.

Fotografia: Jon Tyson

 

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