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Guerra e indipendenze nei Balcani, dal 1974 al 1995


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Nuova costituzione

Nel 1974 la Jugoslavia, una confederazione di stati formata da Slovenia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro, Macedonia, Serbia, Provincia Socialista del Kosovo e Provincia Socialista di Voivodina, vive un importante momento della sua storia grazie alla Nuova Costituzione che dà a tutti i suoi paesi poteri e autonomia sempre maggiori, lasciando allo stato federale solo la politica estera e il controllo dell’esercito.

Successivamente però alcuni fattori come l’aumento del prezzo del petrolio nel 1979, il pesante indebitamento estero e soprattutto la morte di Josip Broz Tito (4 maggio del 1980) hanno portato questa entità verso il declino. Lo stesso leader, prima di morire, nel tentativo di rendere più longevo possibile il sistema federale, crea un meccanismo di presidenza collegiale, secondo una precisa rotazione (ogni 12 mesi).

Questo sistema democratico in realtà si rivela un’illusione perché porta all’assenza di responsabilità decisionale, politica e sociale. L’emergere di questi problemi, insieme alle differenze religiose ed economiche dei vari paesi, conducono poi alla guerra.

Proteste in Kosovo

Con l’intento di superare la crisi vengono promosse diverse modifiche costituzionali che però portano a nuove rivolte in Kosovo, mentre la Slovenia rifiuta di pagare il debito estero oltre quelle che sono ritenute le proprie disponibilità. L’11 marzo del 1981 gli studenti dell’Università di Pristina (odierna capitale del Kosovo) scendono in piazza per avere migliori condizioni di vita e di studio.

A questi moti, stroncati dalle forze di polizia, se ne aggiungono altri che durano fino ai primi di aprile e assumono il carattere di una vera e propria rivolta popolare, che ha l’obiettivo di fare del Kosovo la settima Repubblica della Jugoslavia e di distaccarla dalla Serbia. Nel territorio viene proclamato lo stato d’assedio e, contro i rivoltosi, vengono impiegate le unità di polizia federale e le forze armate.

Le conseguenze

Le conseguenze delle proteste, parallelamente alla necessità da parte dei serbi di ristabilire la leadership all’interno della Jugoslavia e all’ascesa di Slobodan Milošević, portano tra il 1986 e il 1989 alla soppressione delle Province del Kosovo e della Voivodina. Successivamente, in aperto contrasto con la dirigenza serba, la Slovenia (25 giugno del 1991) e la Croazia (8 ottobre 1991) dichiarano la loro indipendenza dalla Jugoslavia.

L’esempio croato e sloveno ispira il parlamento bosniaco che, nell’intento di perseguire l’indipendenza e senza contattare la componente serba, il 15 ottobre del 1991 emana un “Memorandum sulla Riaffermazione della Bosnia ed Erzegovina”.

In Bosnia poi sono presenti anche delle comunità croate che condividono gli obiettivi della madrepatria in merito all’indipendenza; la loro azione dà vita all’HDZ (Unione Democratica Croata), un ramo del partito croato presente nel territorio bosniaco. Il 18 novembre del 1991, grazie agli elementi più estremisti del partito, viene istituita la comunità croata dell’Erzeg-Bosnia.

Indipendenza bosniaca

Per impedire che il conflitto si espanda sempre di più, il 25 settembre del 1991 il Consiglio Nazionale delle Nazioni Unite approva la risoluzione 713 che impone il sequestro delle armi su tutto il territorio della ex Jugoslavia. La risoluzione colpisce soprattutto il territorio della Bosnia ed Erzegovina, che tenta inutilmente di avere una revoca da Gran Bretagna, Francia e Russia.

Il 9 gennaio del 1992, dopo il “Memorandum” bosniaco, la Serbia dà vita alla Repubblica serba di Bosnia, formata da cinque regioni autonome che comprendono quasi il 50% dei comuni della Bosnia ed Erzegovina. Di fronte a queste divisioni la Comunità Economica Europea chiede quindi al governo di Sarajevo di organizzare un referendum – boicottato dai serbi presenti in Bosnia – per accertare l’effettiva volontà della popolazione.

Il 29 febbraio e il 1° marzo del 1992 la maggioranza della popolazione bosniaca si esprime per l’indipendenza, riconosciuta successivamente dai paesi della CEE il 6 aprile e dagli Stati Uniti il giorno successivo.

Balcani: l’inizio degli scontri

In quelle stesse ore, mentre si prende atto del risultato delle urne, a Sarajevo iniziano i primi scontri tra le popolazioni serbe, musulmane (i bosniaci) e croate, che successivamente si allargano su tutto il territorio fino ad assumere la dimensione di una guerra civile. Al conflitto tra serbi e bosniaci si affianca successivamente quello tra questi ultimi e i croati – in precedenza loro alleati – che, di fronte ai primi successi militari dei serbi, diventano ben presto favorevoli ad un’eventuale divisione del territorio bosniaco: un’ulteriore spartizione avrebbe infatti permesso a loro di annettere l’Erzegovina, la regione dove i croato – bosniaci sono più numerosi e dove nel 1991 si è costituita l’Erzeg-Bosnia.

La capitale della Bosnia-Erzegovina, Sarajevo, è stata bombardata dalle forze serbo-bosniache

Dopo l’indipendenza bosniaca dalla Jugoslavia il quadro che si delinea è il seguente: il 12 maggio del 1992 l’Armata Popolare Jugoslava abbandona il territorio, lasciando però all’interno del Paese un nutrito gruppo militare, successivamente rinominato Esercito della Repubblica Serba; i croati creano una formazione militare difensiva chiamata Consiglio di difesa croato, mentre i musulmani bosniaci si organizzano nell’Armata della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina.

In precedenza, il 5 aprile, i cittadini di Sarajevo, Mostar e altre città della Bosnia ed Erzegovina organizzano una grande protesta contro la guerra. Il tentativo risulta inutile perché a maggio inizia il bombardamento di Sarajevo.

Lo svolgimento

Il 1° maggio viene arrestato il presidente, Alija Isetbegović, di rientro da Lisbona, mentre il giorno seguente l’Armata Popolare Jugoslava cerca di occupare il palazzo presidenziale senza però riuscirci. In seguito a questi scontri viene firmato l’accordo di Graz tra i leader musulmani, croati e serbi, ma ancora a giugno, sempre nel medesimo anno, scoppia la guerra croato – musulmana e il 3 luglio il leader dell’Unione Democratica Croata dichiara l’autonomia della Repubblica Croata dell’Erzeg-Bosnia, con capitale Mostar.

L’accordo di Graz causa una spaccatura all’interno dei croati, tra coloro che vogliono continuare l’alleanza anti-serba insieme ai bosniaci e coloro che vogliono ottenere il controllo della Bosnia centrale. Il 18 giugno del 1992 la Bosnia riceve un ultimatum secondo il quale bisogna abolire l’istituzione della Bosnia ed Erzegovina, giurare fedeltà all’autorità croata e espellere i rifugiati musulmani in 24 ore.

L’attacco, lanciato il 19 giugno, fallisce, colpendo solo l’ufficio postale e una scuola elementare. Le forze bosniache, pur essendo circondate, riescono a respingerlo e cacciano, nell’agosto del 1992, il leader delle forze di difesa croate insieme al gruppo moderato che ha sempre sperato di unirsi ai bosniaci. La situazione poi diventa più grave quando l’esercito croato attacca Prozor, uccidendo i civili e attuando la pulizia etnica, mentre i serbi conquistano la città di Jajce, cacciando la popolazione croata e bosniaca.

1993: nuova fase della guerra

Il 1993 conosce una nuova fase della guerra seguita poi da alcune risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la prima n. 888 il 22 febbraio, con il quale si istituisce un tribunale internazionale per perseguire i responsabili di gravi violazioni umanitarie, e la n. 816, che invita gli Stati membri del Consiglio stesso a imporre una no – fly zone sulla Bosnia.

Tra il 15 e il 16 maggio per cercare di arrivare a degli accordi viene proposto ai serbi il piano Vance Owen, votato poi in maniera contraria dal 96% della popolazione, che prevede la creazione di uno stato federale dotato di 10 province autonome: la provincia di Sarajevo, tre province serbe, tre croate e tre musulmane; insieme a queste circoscrizioni territoriali vengono poi proposte una Carta Costituzionale e la smilitarizzazione dell’area. Al fallimento del piano segue l’escalation definitiva del conflitto su oltre il 30% del Paese.

Anche la città di Mostar viene circondata dalle forze del Consiglio di difesa Croato, che poi alle 10:15 del 9 maggio 1993 attua il suo attacco finale con la distruzione dello Stari Most (il vecchio ponte), un ponte ottomano del XVI sec. simbolo della città. L’attacco al ponte provoca la risposta bosniaca con l’operazione “Neretva ‘93” che, nonostante il pieno successo, viene poi bloccata a causa dei massacri provocati.

Stari Most, Mostar

Epilogo

La guerra croato – bosniaca si conclude il 24 febbraio 1994. L’8 marzo invece viene firmato un accordo di pace tra i Croati e la Repubblica della Bosnia ed Erzegovina, mediato dagli Stati Uniti. La nuova unione tra i due paesi porta poi ad una nuova offensiva contro l’esercito serbo, supportata dalla NATO.

La guerra continua ancora nel 1995, quando il 9 luglio l’esercito serbo occupa la zona di sicurezza delle Nazioni Unite a Srebrenica, nella Bosnia occidentale, dove perdono la vita 8.000 uomini, in quello che poi viene chiamato come il “massacro di Srebrenica”. L’occupazione di quest’area porta i croati a invadere prima la Bosnia occidentale con l’operazione “Estate ‘95” e poi ad agosto a lanciare l’operazione “Tempesta” che causa l’esodo di più di 250.000 serbi dalla Croazia.

Dopo i massacri di Markale e Srebrenica la NATO, su mandato dell’ONU, avvia l’operazione “Deliberate Force”, una campagna militare aerea condotta nel 1995 dalla NATO contro le forze della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, sospesa poi il 14 settembre del 1995 per consentire un accordo tra le parti. L’accordo viene raggiunto grazie all’intervento diplomatico e militare degli Stati Uniti che decidono di intervenire in difesa dei bosniaci.

Negoziati di pace

Grazie alla mediazione americana, nel marzo del 1994 i mussulmani, i croato – bosniaci e la Croazia raggiungono un’intesa politica e militare per la difesa dell’integrità territoriale della Bosnia e per la costituzione di una federazione croato – mussulmana, successivamente legata alla Croazia in una confederazione. Sconfitta ormai su molti campi la Serbia non può fare altro che partecipare ai negoziati di pace che si svolgono dal 1° al 21 novembre 1995 a Dayton, negli Stati Uniti.

14 dicembre 1995 – Firma dell’Accordo di pace di Dayton a Parigi, alla presenza di Slobodan Milosevic, Alija Izetbegovic, Franjo Tudman, Felipe Gonzalez, Bill Clinton, Jacques Chirac, Helmut Kohl, John Major e Viktor Chernomyrdin

L’accordo prevede il mantenimento dell’integrità territoriale della Bosnia – Erzegovina e la costituzione di una Confederazione formata dalla Repubblica serba di Bosnia e dalla Federazione croato – bosniaca con organi comuni tra cui una presidenza collegiale composta da tre membri, un governo centrale, competente in politica estera e monetaria, per le dogane, per il commercio estero e per le comunicazioni, un parlamento bicamerale, una corte costituzionale e una banca centrale.

Ai profughi poi viene assicurata la possibilità di ritornare nelle proprie case e a ogni cittadino della Confederazione viene garantita la libertà di circolazione su tutto il territorio. Infine una forza multinazionale, costituita da 60.000 uomini sotto il comando della NATO, ha il compito di sorvegliare sull’attuazione dell’accordo. Seguendo questa trattativa si arriva dunque alla pace definitiva firmata a Parigi il 14 dicembre 1995.

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