Il 1973 ha cambiato per sempre il corso della storia di Israele. Mentre il conflitto del 1967 aveva consolidato la percezione dell’invincibilità israeliana e aperto la strada alla colonizzazione, la guerra del Kippur ha lasciato dietro di sé sentimenti di delusione e frustrazione. Nel periodo di transizione che segue il 1973, Israele ha affrontato una pesante crisi economica e una crescente frammentazione politica.
Questi eventi hanno preparato il terreno per un cambiamento significativo del paese nel 1977, quando si è verificato uno spostamento politico verso destra. Cerchiamo di ricostruire questa importante vicenda attraverso alcune parole chiave che hanno segnato il prima e il dopo di questo evento spartiacque per la storia dello Stato di Israele.
La guerra dei sei giorni
Naksa significa sconfitta, ricaduta, battuta di arresto. È il giugno 1967 quando Israele attacca l’aviazione egiziana dando vita ad una guerra durata per ben sei giorni. La risposta di Egitto, Siria e Giordania è insufficiente e Israele si impossessa del Sinai, delle alture del Golan ed estende il proprio controllo alla Cisgiordania.
È il momento della seconda diaspora palestinese, evento in cui il mondo arabo si ripiega su sé stesso e inizia un’aspra discussione al proprio interno. Nulla sarebbe stato più come prima. Il nasserismo, ormai sconfitto, avrebbe dovuto confrontarsi con questa cocente delusione, mentre Israele iniziava un sostenuto e controverso processo di colonizzazione.
Nello Stato ebraico, infatti, il ’67 fu segnato da gloria e giubilo. Fu, però, quella della guerra dei Sei giorni una “vittoria maledetta”, per utilizzare le parole di Ahron Bregman, un trionfo che avrebbe condizionato per sempre il corso della storia israeliana.
Guerra del Kippur
Dopo la guerra, l’inclusione dei territori posti sotto occupazione causò ad Israele notevoli problemi. In particolare, presso il Sinai, ai confini con l’Egitto, lo stanziamento di truppe militari favorì l’esplodere di un altro conflitto. La guerra di attrito del 1970, sovente dimenticata, lasciò sul terreno circa 6000 caduti e segnò un continuum tra il conflitto del 1967 e la guerra del 1973.
Le continue ostilità spinsero Damasco e Il Cairo a sferzare un importante attacco ad Israele il 6 ottobre 1973. Una guerra violava il giorno più sacro per gli ebrei, il giorno di Kippur. La celebrazione dell’espiazione dei peccati fermava l’intero paese e imponeva digiuno e penitenza.
Tel Aviv rispose sbalordita e sorpresa dell’attacco, manifestando impreparazione e arroganza, una hybris che aveva accompagnato l’idea israeliana di essere stato il piccolo Davide davanti al gigante sconfitto. E così Israele reagì all’attacco ridestandosi dal torpore che lo aveva fatto giacere tranquillo dopo che si era crogiolato nella propria forza.
Cataclisma su Israele
Si apre infatti la fase della Mekdal. Il termine è traducibile come omissione, mancanza. È questa la seconda parola che segna il panorama israeliano del post-guerra. È l’idea di non avere previsto, di non essere stati sufficientemente preparati, di avere dato per scontata la propria supremazia e forza.
La catena di comando politico-militare fu subito messa alla gogna e le elezioni parlamentari del 1973 misero sull’avviso la leadership laburista. Avrebbe dovuto prestare attenzione alla destra revisionista che avanzava sempre più nel paese e iniziava a raccogliere un consenso quasi di eguale misura.
Proprio nel 1973, Likud era sorto dall’alleanza tra il vecchio Herut e i gruppi Libralim, e alla testa di questo nuovo soggetto politico era stato posto un vecchio leone politico Menachem Begin. Allora un cataclisma si aprì nella società israeliana. Da tempo le proteste dei gruppi di ebrei immigrati dal Nord Africa e Medio Oriente, i mizrahim, asserragliavano il palazzo del governo e imperversavano per le strade di Gerusalemme.
Movimenti come le Pantere Nere, portatori del messaggio dei diseredati e megafono per richieste di uguaglianza, dopo il conflitto tacquero. La loro incapacità politica e gli scandali che li colpirono non favorirono certamente la loro partecipazione al dibattito pubblico. Nello spazio di pochi anni divennero un fenomeno marginale e destinato sempre più a rimanere una piccola riga nei libri di storia.
Inflazione e disoccupazione
Israele post-guerra del 1973 era cambiato. La commissione d’inchiesta Agranat aveva cercato di attribuire le responsabilità dell’impreparazione ai vertici militari, lasciando le alte sfere politiche del tutto indenni da ogni accusa. Il malcontento popolare cresceva e la critica a Golda Meir e al suo governo non poterono rimanere inascoltati.
L’avvicendamento del giugno 1974 tra Meir e Rabin fu pressoché irrilevante. La sinistra laburista gestiva lo stato in forma patrimoniale e la divisione in mille rivoli in cui si erano frammentati i partiti dello schieramento manifestava una visione miope. Nel frattempo, il padre dello Stato, David Ben Gurion, moriva a Sde Boker nel dicembre del 1973 e lasciava sguarnito Israele di uno dei punti di riferimento più importanti di tutta la sua storia.
La crisi economica globale, la decisione di imporre un embargo e il concomitante aumento dei prezzi del petrolio, eventi questi ascrivibili ad un percorso storico di più lungo periodo e non imputabili solo alla guerra del Kippur, inasprirono le condizioni di vita dei ceti più deboli in Israele. Inflazione e disoccupazione segnarono gli anni tra il 1973 e il 1977 e a patirne le conseguenze peggiori furono le classi di immigrati, i già menzionati mizrahim.
Costoro che in parte erano rimasti ai margini della società e in parte avevano subito un processo di assimilazione, ashkenazzizazione, divennero i protagonisti della nuova storia di Israele, il secondo Israele nato nel 1977.
Mahapach: rivoluzione
L’ultimo termine è mahapach, rivoluzione. Il termine esaurisce l’idea di quanto la nascita nel maggio 1977 della seconda repubblica israeliana avesse una portata epocale. Il nemico, il reietto identificato con la destra revisionista aveva scalzato dal potere i laburisti e assumeva il controllo della Knesset. Il nuovo governo di destra fece proprie le teorie economiche del neoliberismo, galoppante in tutto il mondo.
I comandamenti economici di Milton Friedman ebbero il loro peso anche sullo Stato di Israele che iniziò un massiccio programma di privatizzazioni e abbattimento del proprio stato sociale. Israele cambiava faccia per sempre e intraprendeva un percorso di non ritorno verso la colonizzazione, secondo alcuni falsamente interrotto dagli accordi di Oslo del 1993.
50 anni dalla Guerra del Kippur
Oggi, Golda, il nuovo film di Guy Nattiv celebra la figura di Golda Meir, primo ministro dello Stato di Israele tra il 1969 e il 1974. Figura politica di primo piano durante il mandato britannico e madre fondatrice dello Stato ebraico, Meir dovette confrontarsi con la più cocente sconfitta della storia di Israele.
La pellicola esce proprio nel 2023, a 50 anni dalla guerra dello Yom Kippur, l’evento che più di ogni altro sembra avere dimostrato al mondo la vulnerabilità dello Stato di Israele e che oggi appare profilare all’orizzonte un nuovo conflitto, questa volta interno al paese.