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Ponte di Bajska, Kosovo


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La notte tra il 23 e il 24 settembre 2023

Un gruppo di circa 30 uomini, pesantemente armati e in uniforme militare, blocca con due autocarri un ponte all’ingresso del villaggio di Banjska, nel nord del Kosovo, a circa 10 chilometri dal confine con la Serbia.

È un gruppo armato di serbi del nord del Kosovo, guidati da Milan Radoičić, vicepresidente della “Lista Serba”, partito dominante nelle enclave a maggioranza serba nel nord del paese. All’arrivo della polizia kosovara, il gruppo armato apre il fuoco, uccidendo un poliziotto e ferendone un altro. Durante la successiva operazione della polizia kosovara, quattro degli aggressori vengono uccisi e otto arrestati.

Gli aggressori fanno poi irruzione in un vicino monastero ortodosso, che lasciano nella tarda serata del 24 settembre, raggiungendo la Serbia. Le autorità kosovare hanno comunicato che, durante la perquisizione sul campo, hanno trovato, tra le altre cose, fucili automatici, mine antiuomo e anticarro, lanciarazzi, colpi di mortaio, bombe a mano, esplosivi e detonatori, tre droni, 32 apparecchi radio, 115 uniformi militari, mappe satellitari e topografiche, 24 jeep e un veicolo blindato.

Un’operazione pianificata

Ovviamente non è stato un attacco spontaneo ma un’operazione pianificata. Eppure, a oltre un mese dall’attacco, non c’è ancora chiarezza su chi l’abbia istigato e quali fossero gli obiettivi. Il premier kosovaro Albin Kurti ha attribuito l’attacco a “criminali sostenuti politicamente e finanziariamente” da Belgrado. In effetti, Radoičić, vicepresidente della “Lista Serba”, ha forti legami con Belgrado.

Il 12 settembre 2017, il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, lo ha addirittura chiamato come uno dei “guardiani della Serbia in Kosovo e Metohija”. Radoičić è inoltre stato soggetto a sanzioni statunitensi dal dicembre 2021 a causa del suo coinvolgimento nella criminalità internazionale.

Eppure, Vučić nega ogni responsabilità, attribuendo l’iniziativa dell’attacco al gruppo armato dei serbi del Kosovo. Inoltre ha relativizzato l’atto, puntando il dito conto Kurti e le forti resistenze interne da parte delle autorità di Pristina nel procedere alla realizzazione di un’Associazione di municipalità a maggioranza serba nel nord del paese – condizione già prevista negli accordi di Bruxelles del 2013, concluso tra Serbia e Kosovo sotto l’egida dell’Unione europea.

L’attacco di Banjska

L’attacco del gruppo armato di serbi del Kosovo contro la polizia kosovara nella zona del villaggio di Banjska e lo scontro a fuoco che ne è seguito rappresentano l’incidente più grave dall’inizio del dialogo, facilitato dall’Unione europea, tra Belgrado e Pristina e rappresenta un potenziale spartiacque nel dialogo. Nonostante l’Accordo di Bruxelles del 2013, il dialogo tra le due parti è rimasto a lungo in stallo, per poi registrare, negli ultimi anni, un grave deterioramento nelle relazioni.

                                                                L’area geografica del Kosovo

Rispetto al periodo successivo alla dichiarazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo nel 2008, il rischio di nuove violenze è sostanzialmente diminuito. Ciononostante, la statualità del Kosovo non è mai stata riconosciuta dalla Serbia. Inoltre, all’interno dell’Unione europea, cinque Stati membri non hanno ancora riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. Le divisioni tra gli Stati membri rispetto alla statualità del Kosovo hanno rallentato il percorso d’integrazione nell’Unione europea di Pristina.

Ad oggi, il Kosovo rimane l’unico paese della regione a non avere ancora ricevuto lo status di paese candidato e l’accesso libero, senza visti, per i propri cittadini alla zona Schengen (dovrebbe essere concesso a partire dal 1 gennaio 2024). Anche per Belgrado, comunque, un superamento definitivo della disputa con Pristina e una normalizzazione delle relazioni costituiscono condizioni imprescindibili per accedere all’Unione.

Prove di dialogo

Una nuova spinta al dialogo è stata data dalle attuali preoccupazioni per la sicurezza in Europa. La guerra in corso in Ucraina sembra aver contribuito all’internazionalizzazione della disputa tra Kosovo e Serbia, che fino a poco tempo fa era vista principalmente come un problema bilaterale localizzato. Gli interessi della Russia a mantenere una forte influenza nella regione, in particolare tramite i suoi legami con la Serbia, hanno aumentato l’urgenza di trovare una soluzione accettabile per entrambe le parti.

              Manifestazione serba contro la dichiarazione di indipendenza della Repubblica del Kosovo

La situazione internazionale ha quindi portato ad un rinnovato impegno diplomatico occidentale verso la normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia. Un nuovo piano franco-tedesco, appoggiato anche da Italia, Unione europea e Stati Uniti, per un accordo tra Belgrado e Pristina, in particolare, è stato oggetto di intense discussioni nell’ultimo anno, portando all’ Accordo sul percorso di normalizzazione tra Kosovo e Serbia.

L’accordo raggiunto a fine febbraio sul lago di Ohrid, in Macedonia del Nord, avrebbe dovuto contribuire alla normalizzazione delle relazioni tra i due paesi e favorire la stabilizzazione della regione dei Balcani occidentali. Tuttavia, il testo stesso dell’accordo è diventato oggetto di nuove dispute, non presentando indicazioni chiare sulla sua implementazione, incusi i tempi e i modi per l’istituzione di un’Associazione di municipalità a maggioranza serba nel nord del Kosovo.

Kosovo: prospettive future

A trent’anni dallo scoppio delle guerre jugoslave e dalla distruzione del ponte di Mostar, e a un quarto di secolo dalla guerra in Kosovo, il ruolo dell’Unione europea e dell’Italia rimangono fondamentali per sostenere il processo di risoluzione della questione del Kosovo e la normalizzazione dei rapporti con la Serbia. La prospettiva di un futuro ingresso di entrambi i paesi nell’Unione rimane il principale incentivo per la riuscita del dialogo tra Belgrado e Pristina.

Non a caso, un nuovo round di incontri per facilitare l’implementazione dell’accordo di Ohrid è stato organizzato in questi giorni – prima a Bruxelles, fra il Presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni, il Presidente francese Emmanuel Macron, il Cancelliere tedesco Olaf Scholz e il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel con il Presidente della Repubblica di Serbia, Aleksandar Vucic e con il Primo Ministro della Repubblica del Kosovo, Albin Kurti (il 26 ottobre), seguito dalla visita della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in Nord Macedonia, Kosovo, Montenegro, Serbia e Bosnia e Erzegovina (26-29 ottobre), per presentare il nuovo Piano di crescita per i Balcani occidentali, ma  essenzialmente per esplicitare le richieste dell’Unione e facilitare la risoluzione accelerata delle questioni bilaterali irrisolte.

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