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Scritta nel Petrolio: la Crisi Energetica del 74


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La storia si può vedere tramite numerose lenti e da diverse profondità. I giornali, con le loro pagine inchiostrate, sono tra le fonti più interessanti per capire le vicende che vogliamo conoscere e, spesso, possono essere letti per capire lo stato d’animo di un tempo ormai passato e che non ci può essere trasmesso solo attraverso i libri.

Come ricostruire quindi oggi il sentire comune sulla guerra dello Yom Kippur? E quello sulla successiva crisi energetica? La prima pagina di un giornale, notamente, è dove appaiono le notizie più importanti e la foto più simbolica: facendo una ricerca negli archivi della Fondazione Feltrinelli, è possibile rintracciare percorsi storici sulla carta di giornale.

“Il test infinito”: la guerra tra Israele e i propri vicini arabi è vista quasi come un evento naturale e ciclico da alcune testate. Un test a cui l’esercito israeliano ha perennemente risposto.

Carri armati, generali, capi di governo e resti dei campi di battaglia si susseguono martellanti: queste le immagini di molte testate del 6 ottobre 1973.

Una pagina emotiva, che racchiude nel suo titolo lo spirito dello scontro arabo-israeliano in cui la guerra dello Yom Kippur è solo l’ennesimo episodio.

L’ultima chance di Israele”, la guerra all’inizio è vista come una vittoria assicurata delle forze arabe.

La guerra dello Yom Kippur è scoppiata anche tra le pagine dei giornali.

La guerra moderna è meccanizzata, i mezzi utilizzati sono sempre di grande interesse per le testate giornalistiche. La fine del conflitto è molto vicina ma l’esito è ancora incerto.

La breve fiammata della guerra, solo 19 giorni, è un esempio per creare uno spaccato tra le numerose testate del periodo: allineamenti e alleanze, simpatie e critiche si susseguono a seconda delle testate, influenzate dai loro finanziatori e dai loro orientamenti politici.

Il grande gioco intorno a Israele”: il conflitto ha aperto spaccature interne a varie alleanze e l’intero assetto mediorientale deve essere ricomposto dalla Shuttle Diplomacy di Kissinger, la pace diventa più complessa della guerra.

Da giornale a giornale si può leggere la profonda differenza di vedute a seconda del proprio allineamento e dell’importanza data al conflitto;

Giù le mani dal Medio-Oriente”, il teatro delle operazioni ravviva il dibattito sulla necessità occidentale di intervenire nel Vicino Oriente e i giornali indipendenti si schierano.

Ma se il conflitto è quasi troppo breve per vedere veri e propri schieramenti formarsi. Passata infatti la guerra, l’attenzione delle testate si focalizza su una nuova questione: l’embargo dell’oro nero voluto dal Medio Oriente, il petrolio.

Petrolio, l’Europa pagherà! I primi segnali d’allarme cominciano ad arrivare sulle pagine dei giornali, il petrolio, il sangue del mondo economico, è in mano ai nemici dell’occidente.

La crisi petrolifera che segue la guerra dello Yom Kippur getta un’ombra su tutte le grandi testate, lo spettro di una crisi economica senza precedenti e la fine del grande boom economico vengono vissuti in maniera profondamente diversa da testata a testata.

“Un’idea comune in tutto l’occidente è la ricerca di una soluzione alla questione petrolio: su come sostituire un bene così importante si spendono durante la crisi fiumi di inchiostro, senza successo.”

Per alcune testate il problema è lasciato negli articoli e negli inserti prettamente economici, mentre per altre la focalizzazione ricade sui problemi sociali generati dall’impennata dei prezzi e dal dissesto economico che ne segue.

Il Petrolio diventa ufficialmente un’arma utilizzabile dai nemici del blocco americano.

La crisi petrolifera diventa la nuova protagonista delle prime pagine: a volte affrontata con leggerezza, focalizzandosi ad esempio sullo stop alle macchine domenicali, un intralcio alla normale vita di società, a volte affrontata con serietà, simbolo del declino dell’economia occidentale.

Come nella poesia di P.B. Shelley “Ozymandias”, l’unico simbolo rimasto della grandezza dell’occidente è una macchina abbandonata, con il serbatoio vuoto, nel deserto.

L’Europa è strangolatadal petrolio, bene di prima necessità per tutto il continente, la sua assenza è una spada di Damocle sulle capacità industriali dell’intero occidente.

La crisi petrolifera del 1973 è vissuta diversamente dai vari protagonisti della scena mondiale, da un lato ci sono i grandi produttori di greggio, refrattari o almeno in posizione forte davanti alla crisi, come gli Stati Uniti e, in minor misura, la Gran Bretagna,

Farebbe di tutto per del petrolio, una copertina bonaria nei confronti di Edward Heath, primo ministro britannico durante la crisi. Grazie ai propri giacimenti nel Mare del Nord, la Gran Bretagna può godere di una certa autonomia rispetto ai propri alleati.

dall’altro, abbiamo i paesi che vivono di importazione, come l’Italia e la Francia, che si ritrovano a subire in pieno le durezze della crisi appena scoppiata.

La macchina è la prima vittima tangibile delle politiche per rispondere all’assenza di petrolio sul mercato: costerà troppo? Si chiedono i francesi, ingabbiati nella loro utilitaria.

 

Questo doppio spirito è riflesso nei giornali di queste potenze. Alcune affrontano in maniera leggera, quasi ironica, la situazione consce della loro posizione dominante mentre altre vedono lo spirito ironico spegnersi in fretta davanti alla reale gravità della situazione; anche le vignette prima scherzose si fanno più serie nei
paesi in cui la crisi colpisce più duramente.

L’Europa si interroga tra le pagine di Rinascita, chiedendosi i motivi della crisi e come risolverli: all’inizio l’embargo del petrolio viene visto come una crisi temporanea e passeggera.

“Austerità: regime economico-politico di risparmio nelle spese statali e di limitazione dei consumi privati, imposto dal governo al fine di superare una crisi economica. Un termine sempre più usato con l’avanzare della crisi.”

 

Con un classico esempio di british humor il buon anno è augurato a cavallo, la crisi petrolifera colpisce più duramente durante i mesi freddi e il capodanno del 1973 è vissuto dagli europei come una festività ricca di sacrifici.

L’automobile è vista come il simbolo della crisi, un bene simbolo del boom economico bloccato e reso inutile dalla situazione. Lo stop domenicale delle auto è uno dei classici metodi per rallentare i consumi in Italia e all’estero.

L’Espresso, n.46, 18 novembre 1973, p.6. Il blocco delle auto è visto anche con ironia nelle varie vignette del tempo, nonostante il volere degli arabi, molti italiani non rinunciano al loro fine settimana al mare; simbolo del progresso economico e sociale della penisola.

La Francia si trova in una situazione complessa, i propri interessi internazionali sono a rischio e nonostante gli immensi territori legati all’Eliseo con accordi bilaterali non riesce a trovare abbastanza petrolio per andare avanti. L’alzabandiera si ferma alla stazione di servizio.

Se sulle grandi testate possiamo quindi leggere la storia da un certo punto di vista, tra le pagine dei giornali indipendenti possiamo trovare narrazioni molto diverse. La controcultura, viva come non mai dal 1968 in tutto l’occidente, crea un coro di reazioni pungenti nei confronti della crisi che ha appena colpito il mondo
occidentale.

20 Dicembre 1973, n.39. La bicicletta diventa un altro simbolo della crisi petrolifera: senza la macchina è il mezzo di locomozione più usato in Europa e i vari stati invitano i propri cittadini a sfruttare questo mezzo che funziona a soli muscoli e forza di volontà, non a benzina.

Sono seri?” Questa la domanda che si pongono gli attivisti osservando le decisioni dei vari governi per rispondere alla crisi, nulla che possa aiutare le classi più basse ma reazioni disorganizzate e di facciata.

Fascismo energetico”: senza altre alternative il petrolio detta legge sul mercato, l’avvio di ricerche su fonti di energie alternative avrebbe preso lo slancio grazie anche alla crisi del 1973.

 

Il Mondo, 6 dicembre 1973, pag. 12. A volte un disegno vale più di mille parole: le vignette sono un classico medium giornalistico per veicolare concetti complessi, in questo caso nella tasca di un grottesco soldato sovietico si trova l’Opec che, a sua volta, ha in tasca sia europei che giapponesi.

La crisi petrolifera, come ogni crisi economica, colpisce duramente le fasce più deboli della popolazione, dove la controcultura è più diffusa. Esponenti di chi sta perdendo di più, attivisti e militanti dei vari movimenti sparsi per il mondo occidentale cominciano ad additare i colpevoli e ad alzare le barricate sull’inchiostro.

 

La crisi è vista in alcuni casi come un grande complotto dietro il quale si nasconde l’ennesima scusa per punire il proletariato e fermare i suoi tentativi di ascesa sociale.

La crisi petrolifera può essere vista anche come una scusa, un movente per raccogliere sempre più potere: in questo caso il Primo Ministro italiano è accusato di cercare una svolta fascista sfruttando la situazione.

The Socialist Republic, vol.2, n.1, p.37, anno 1973. Una piovra nera che strangola una pompa di benzina, la crisi non è causata dall’embargo arabo ma dalle stesse multinazionali petrolifere: questa almeno la teoria dei socialisti americani.

Questi testi, a volte di poche pagine, a volte veri e propri giornali, sono la voce degli ultimi, quella che normalmente la storia non si cura di ascoltare. Grazie alle disponibilità degli archivi della Fondazione Feltrinelli però, possono essere letti e analizzati nella loro interezza, donando un nuovo punto di vista inedito su eventi epocali.

L’attenzione di tutte le testate poco a poco si sarebbe spostata su nuove questioni e nuovi problemi, lasciando un ricordo sempre più sbiadito nelle pagine inchiostrate in giro per il mondo. La guerra e la crisi petrolifera svaniscono come ogni notizia di enorme entità, dalle prime pagine, alle seconde, dalle seconde all’interno, dall’interno ai trafiletti, dai trafiletti alle opinioni su ciò che è appena accaduto e dalle opinioni alla memoria collettiva.

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