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Un assessorato ombra alla sanità: controllare le scelte della Regione, tutelare i diritti dei cittadini


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La pandemia ha reso evidente il disastro della sanità lombarda; se la Lombardia, come era nei programmi di Umberto Bossi, fosse diventata una nazione indipendente, oggi sarebbe al settimo posto per numero di decessi per Covid tra le nazioni di tutto il mondo, oltre 450/100.000 abitanti (https://covid19.who.int/table/).

Il Covid-19 ha semplicemente reso manifesto un fallimento che affonda le sue radici nelle politiche avviate a metà anni ’90 da Formigoni e proseguite fino ad ora dalle giunte di centrodestra che hanno governato per 28 anni la regione.

Politiche basate sulla progressiva penetrazione del privato nel Servizio Sanitario Regionale: dalla sussidiarietà formigoniana siamo arrivati alla l. 22/21 della (contro)riforma della sanità lombarda, realizzata da Fontana-Moratti, che stabilisce  l’“equivalenza e integrazione all’interno del SSL dell’offerta sanitaria e sociosanitaria delle strutture pubbliche e private accreditate ….” in contrasto con quanto previsto dal d.lgs. n. 502/1992 che fa riferimento al preminente ruolo dell’ente pubblico che, in quanto titolare della funzione sanitaria, definisce il fabbisogno e, in coerenza con questo, decide quali prestazioni acquistare dal privato accreditato.

Le aziende private in sanità, come in ogni altro ambito, cercano di massimizzare il profitto che, in questo settore, si basa sulla presenza di malati e malattie; non sono quindi motivate a rafforzare gli interventi di prevenzione che anzi possono produrre risultati antitetici ai loro interessi. Il pubblico, invece, più investe sulla prevenzione e sulla diagnosi precoce più risparmia, riducendo malati e malattie. Una constatazione banale che mostra come in sanità gli interessi del pubblico e del privato siano antitetici.

Il disastro si completa se chi ha la responsabilità della sanità pubblica applica al Servizio Sanitario Regionale la logica, gli interessi e l’organizzazione tipiche dei servizi sanitari privati.

La riduzione ai minimi termini della medicina territoriale e dei servizi di prevenzione è uno dei risultati più evidenti di tale logica. Le liste d’attesa, che rappresentano il disagio maggiormente percepito dai cittadini, sono il frutto di un’offerta sanitaria trasformata in un bazar, dove la Regione accredita chiunque lo chieda, senza alcuna programmazione, controllo e verifica.

La consapevolezza che curarsi in Lombardia è diventato un terno al lotto che dipende dal potere d’acquisto di ognuno è ampiamente diffusa.

Infatti, tutti i candidati presidente promettono che nei primi cento giorni ridurranno le liste d’attesa. Chi ha governato fino ad ora dovrebbe spiegare perché non ha già realizzato quanto adesso promette, ma tutti dovrebbero dire agli elettori come, in assenza di una bacchetta magica, pensino di ottenere il risultato declamato.

La cancellazione delle liste d’attesa – così come la costruzione di una forte sanità territoriale – sono obiettivi irraggiungibili se non si mettono in discussione i profitti e le posizioni di rendita occupate – con il beneplacito di chi ha governato fino ad ora la Lombardia – dai grandi gruppi della sanità privata. Questo è il punto fondamentale, senza il quale restano solo dichiarazioni di buone intenzioni. Nel migliore dei casi.

Per ragioni di spazio mi limito ad elencare alcuni dei provvedimenti che andrebbero realizzati per modificare la situazione attuale; mi rifaccio in gran parte ai 23 punti elaborati dal coordinamento “Dico32 salute per tutte e per tutti”  (https://www.medicinademocratica.org/wp/?p=1370):

  1. cancellazione del principio di equivalenza tra pubblico e privato dalla nuova legge regionale 21/22.
  2. Elaborazione di un Piano Socio-Sanitario Regionale, fondato su una scientifica ricognizione dei bisogni di salute, territorio per territorio, finalizzati ad individuare obiettivi precisi, da organizzare secondo priorità periodicamente verificabili;
  3. Rivedere i criteri attraverso i quali si realizza l’accreditamento alle strutture private che deve essere rilasciato in relazione al fabbisogno di assistenza definito dalla programmazione socio-sanitaria e in base alla presenza di strutture pubbliche e alla loro capacità o meno di rispondere alle necessità evidenziate.
  4. La ripartizione del Fondo Sanitario deve essere destinata prioritariamente ai servizi pubblici, i contratti con gli erogatori privati devono essere vincolati a risultati da verificare annualmente rispetto agli obiettivi e dovranno essere sospesi e gli accreditamenti revocati per inadempienze, fatturazioni improprie e reati accertati dalla magistratura.
  5. Deve essere istituito un unico Centro di Prenotazione regionale dove devono confluire tutte le agende anche delle strutture private accreditate. Le disponibilità devono essere visibili online e i tempi di erogazione delle prestazioni stabiliti a livello regionale e nazionale devono essere rispettati in base alla priorità indicata dal medico e questo deve essere uno degli obiettivi sui quali valutare i direttori generali e i responsabili unici delle liste d’attesa. Devono essere garantiti tempi simili di erogazione a chi afferisce tramite il Servizio Sanitario Nazionale e a chi invece arriva come soggetto pagante. Nelle strutture pubbliche va stabilito che se i tempi d’attesa superano, in modo significativo, quelli previsti per legge viene ridotta/interrotta l’attività intramoenia fino a quando i tempi non verranno rispettati. Nelle strutture private accreditate il personale addetto a rispondere alle richieste che giungono attraverso il SSN non può in alcun modo proporre prestazioni private; vanno vietate e sanzionate attraverso la sospensione del servizio, quelle realtà private che prevedono una premialità agli addetti al call-center che riescono a spostare sul privato una richiesta giunta per il Servizio Sanitario pubblico.

    Ospedale Niguarda (Milano), sala d'attesa per l'accettazione
    Ospedale Niguarda (Milano), sala d’attesa per l’accettazione.
  6. Vanno istituiti i distretti (uno ogni 50-100.000 abitanti) che, tra l’altro, devono: avere un Dipartimento di Prevenzione; garantire tutti i servizi necessari a realizzare l’integrazione socio-sanitaria; istituire ambiti stabili di confronto con i comuni del proprio territorio e con le realtà associative e le organizzazioni degli utenti. In ogni Distretto devono essere presenti delle Case di Comunità, le quali devono avere una gestione pubblica, rappresentando, in prospettiva, il luogo di primo contatto tra i cittadini e il Servizio Sanitario. Non devono essere appaltate in gestione al privato.
  7. I presidi ospedalieri pubblici e quelli privati accreditati devono essere coordinati dalle ASST nel cui territorio sono collocati, in modo da favorire una efficace programmazione degli interventi in base alla priorità individuate dal Piano Socio-Sanitario.
  8. Deve essere favorita l’aggregazione tra Medici di Medicina Generale (MMG), utilizzando e incrementando i fondi già destinati a questo scopo, aumentando i giorni e gli orari di apertura. Va costruita una rete tra gli ambulatori dei MMG, le case di comunità e i previsti ospedali di comunità;
  9. Vanno stabilizzati tutti i precari: medici, infermieri ecc. ad oggi operanti nelle strutture sanitarie pubbliche; deve essere contrastata la pratica del medico a gettone ponendo nell’immediato dei forti limiti alla presenza di queste figure nelle strutture del SSN e in quelle accreditate, escludendo da subito alcuni settori, ponendosi l’obiettivo di una cancellazione totale, in tempi brevi, della figura del medico gettonista. Contestualmente va contrastato l’abbandono del SSN da parte dei medici, intervenendo sulle remunerazioni, gli orari e l’organizzazione del lavoro, anche con un’azione di pressione verso quanto di competenza del governo centrale.
  10. Va ridotta al minimo indispensabile l’esternalizzazione dei servizi ed in particolare verso le cooperative che devono comunque essere sottoposte a precisi controlli rispetto alla quantità e alle qualifiche del personale e agli orari di lavoro che devono rispettare, ad es. per i periodi di riposo, quanto previsto dalle regole comunitarie.
  11. Va predisposto un piano straordinario di recupero degli interventi e delle visite posticipate a causa dell’emergenza Covid, fino al raggiungimento dei tempi d’attesa previsti dai LEA.
  12. Va, nell’immediato, verificato il rispetto dei parametri di legge e di quanto previsto dai contratti, per il personale delle RSA che sono gestite, circa nel 90% dei casi, da soggetti privati. È urgente un’indagine sulle rette d’accesso alla RSA e sulla distribuzione della spesa, che spesso, in contrasto con quanto previsto dalla legislazione, ricade totalmente sulle famiglie. In prospettiva va profondamente modificato il sistema di assistenza alle persone anziane e/o non autosufficienti, riconducendo gli interventi all’interno del Servizio Sanitario regionale, sottraendoli al monopolio privato e puntando ad un’integrazione socioassistenziale con il territorio.

Insieme a un gruppo di professionisti e di attivisti abbiamo deciso di  attivare un sito: www.curiamolalombardia.it attraverso il quale intendiamo: fare i “cani da guardia” delle decisioni istituzionali, qualunque sia il colore della prossima giunta; costituire un “ASSESSORATO OMBRA ALLA SALUTE” che si occupi anche di ambiente, di sicurezza sul lavoro e dei determinanti sociali ed ambientali che incidono sulle condizioni di salute di ciascunə.

È un progetto ancora in costruzione, abbiamo bisogno, perciò, del sostegno di tuttə (contatti@curiamolalombardia.it) per realizzare una sanità che non lasci nessuno da solo con la sua malattia e il suo disagio. Per prendersi cura insieme della Lombardia.

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