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Grammatica del lavoro: Platform welfare


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I risultati emersi dal workshop sul Welfare di piattaforma descrivono un quadro completo e dettagliato di un fenomeno in costante evoluzione che viaggia lungo molteplici direttrici di sviluppo. Dalla relazione iniziale svolta dalla Professoressa Maino e dal dibattito che ne è seguito è stata scattata una fotografia nitida (seppur controversa) del fenomeno nel nostro Paese, anche in chiave comparativa (rispetto agli altri Paesi europei) e in chiave longitudinale. 

Un sistema di welfare ingessato 


  • L’Italia è uno dei Paesi in cui la spesa sociale è più alta della media europea: 29% del Pil rispetto al 28% nella EU27) ma soffre di una distorsione funzionale dovuta, in particolare, a due fattori: un sovra-finanziamento per pensioni e protezione del reddito delle fasce anziane (56% dell’Italia contro un 44% dei Paesi europei) e un sotto-finanziamento nella spesa in salute, per le politiche familiari, per la lotta alla povertà, per le politiche attive del lavoro e la stessa spesa per istruzione (3,9% del Pil). Inoltre, un ulteriore grosso limite della spesa sociale in Italia è legato al forte orientamento verso i trasferimenti monetari (76% della spesa pubblica) e non verso i servizi (24%). Inoltre, larga parte della protezione sociale (organizzazione e, in alcuni ambiti, finanziamento) è lasciata alle famiglie (quello italiano è un sistema di welfare familistico e fai da te). 

  • Se spostiamo lo sguardo al livello locale, i dati indicano che la spesa sociale dei Comuni è pari a circa 7,5 miliardi di euro (2018), ovvero lo 0,5% del Pil e che la spesa per abitante è pari a 124 euro con differenze territoriali molto ampie (si passa dai 58 euro al Sud ai 177 euro nel Nord-Est). Le risorse sono destinate prevalentemente ai minori e alle famiglie con figli (38%), alle persone con disabilità (27%) e agli anziani (17%).  
  • Guardando ai dati a distanza di 15 anni (confrontando in particolare i dati del 2018 con i dati del 2003) si nota che sono aumentate le risorse dedicate alle famiglie pro-capite (da 86 del 2003 a 184 euro del 2018) per effetto della riduzione della popolazione. Più della metà della spesa dei Comuni per le famiglie e i minori viene assorbita dalle strutture (53,6%), seguono i trasferimenti in denaro (27,9%) mentre il 18,5% è utilizzato per interventi e servizi. Nidi e altri servizi educativi per la prima infanzia rappresentano il 38% della spesa totale di questa area. Nel lasso di tempo dal 2003 al 2018 sono raddoppiate le risorse destinate alle persone con disabilità (da un miliardo e 22 milioni di euro nel 2003 a 2 miliardi e 5 milioni di euro nel 2018) mentre sono calate le risorse destinate agli anziani nonostante la popolazione di riferimento sia in costante crescita (le principali voci di spesa sono l’assistenza domiciliare pari al 36,3% e le risorse per le strutture residenziali pari al 38,5% dove risiede lo 0,8% degli anziani. 
  • Oggi il sistema di Welfare tradizionale risulta assente dai “nuovi” problemi sociali: mobilità sociale, solitudine, invecchiamento, scarsa natalità, conciliazione vita-lavoro e nuove povertà. I dati indicano un tasso di copertura degli utenti tradizionali basso e inadeguato (es. il 30% delle persone non autosufficienti e il 30% dei disabili) e la maggior parte dei servizi offerti sono prestazioni a domanda individuale che isolano gli utenti e non aiutano ad aggregare la domanda. Inoltre, i costi del welfare risultano ampiamente a carico delle famiglie quindi i problemi sociali emergenti non richiedono risposte principalmente di tipo finanziario (le risorse sono già nelle mani delle famiglie) ma soluzioni innovative e improntate a una logica aggregativa e integrativa.

Parole chiave per leggere il fenomeno 


Integrazione

Il modello di welfare presente in Italia è caratterizzato da una forte prevalenza di trasferimenti monetari su base individuale, come ad esempio l’indennità di accompagnamento; il modello lascia invece scoperta la componente dei servizi, che vengono spesso assorbiti dalle famiglie, secondo un modello ‘fai da te’.

Quando il servizio non viene svolto direttamente da suoi membri, le famiglie finanziano servizi alla persona facendo ricorso a un mercato dei servizi alla persona di natura ‘informale’, ben più sviluppato dei canali di produzione ed erogazione ‘istituzionali’: basti pensare che sono presenti in Italia oltre 1 milione di badanti, eccedendo di circa 400mila ‘unità’ i dipendenti del Sistema Sanitario Nazionale.

Esiste già un ecosistema socio-economico dove una pluralità di attori, formali e informali, erogano servizi di welfare. Il problema di questo sistema è la mancanza di razionalizzazione, che impedisce una corretta stima dei fabbisogni. Nella logica della ‘platform welfare’ occorrerebbe mettere a sistema e/o liberare risorse già presenti nel modello di welfare fai da te (come ad esempio la spesa out-of-pocket).

L’emersione dei servizi informali ne consentirebbe il monitoraggio, permettendo di garantire inclusività e sostenibilità a livello individuale e/o di settore. Ne risulterebbe un sistema integrato (e non alternativo ai canali istituzionali) che terrebbe assieme l’erogazione dei servizi formali con quelli informali, seguendo l’ottica pragmatica del secondo welfare. 

La dimensione locale 

Un secondo vettore di integrazione per rafforzare il sistema di welfare italiano passa per la dimensione locale: nonostante la ridotta capacità di spesa dei comuni (0.5% del PIL, contro il 29% assorbito dal welfare state) territorio e comunità rappresentano infatti un ‘laboratorio di innovazione’, in grado di attivare percorsi progettuali innovativi, anche grazie a cooperazione multi-attoriale in grado di mobilitare risorse aggiuntive o di efficientare la spesa esistente.

In questo senso, nel welfare locale sono già stati sperimentati percorsi di integrazione tra welfare formale ed informale. In base al principio di sussidiarietà, il livello locale è facilitato nel promuovere e facilitare processi di aggregazione sia di attori che di servizi già esistenti. Il sistema locale infatti consente di I) leggere i bisogni, anche inespressi, creando ed erogando servizi che seguano i cambiamenti; II) favorire lo sviluppo di soluzioni esterne all’ambito pubblico, e scalabili anche ad altri livelli di governance o scale geografiche e III) di integrare sistemi di welfare formali e informali. 

Innovazione 

Il platform welfare, come innovazione di policy, consentirebbe di raggiungere meglio (rispetto agli strumenti tradizionali) tre obiettivi. Il primo è la coerenza tra bisogno sociale e servizi da erogare: la prevalenza di prestazioni su base monetaria fa sì che molti dei servizi di welfare siano di natura informale, rendendo difficile un’adeguata copertura dei bisogni sociali secondo standard rigorosi.  

Il secondo aspetto è la ricerca della sostenibilità di medio-lungo periodo: il mix di canali di erogazione pubblici e privati consentirebbe maggiori margini di efficienza. Infine, il platform welfare consentirebbe di creare partnership multiattoriali a sostegno del welfare, creando maggiore partecipazione in questo ambito di politica pubblica.  

La piattaforma, come ‘strumento’ si presta a tre logiche di innovazione rispetto ai processi di produzione ed erogazione dei servizi. In primo luogo, è possibile creare piattaforme collaborative che uniscano persone creando una comunità intorno ai servizi. In secondo luogo, le piattaforme possono mettere in contatto individui con bisogni simili, informandoli sull’offerta territoriale di servizi professionali. In terzo luogo, le piattaforme possono consentire l’inserimento di logiche di risultato in grado di raggiungere tassi di copertura adeguati nei vari contesti.

 

Iniziativa 

Il platform welfare, grazie alle sue logiche di funzionamento innovative, può consentire di creare un welfare di iniziativa che intercetti e si prenda carico prontamente dei bisogni sociali venendo incontro ai propri utenti. Questo aspetto è particolarmente importante in un contesto dove il welfare tradizionale, a causa dei vincoli istituzionali non è in grado di prendere iniziativa e creare soluzioni per i nuovi bisogni sociali.  

Inoltre, lo strumento piattaforma può essere usato per ‘accompagnare’ i cittadini-utenti verso servizi già esistenti ma poco visibili, mettendo in luce l’ecosistema di welfare presente in un dato territorio. La logica dell’integrazione si presta inoltre a un design proattivo dei servizi di welfare, permettendo di ‘mettere a sistema’ servizi di natura differente ma che possono essere complementari nel soddisfacimento dei bisogni: un esempio su tutti, servizi di baby-sitting uniti a politiche attive del lavoro, per mettere le madri single in condizione di iniziare percorsi di welfare.


Alcune pratiche virtuose


AON utilizza una piattaforma proprietaria creata per offrire piani di ‘benefit flessibili’, in modo da tarare l’offerta di welfare aziendale sui bisogni dei dipendenti; la piattaforma consente di gestire 500’000 dipendenti e un totale di 700 piani, distribuiti su 29 Paesi. 

WeMi è una piattaforma di welfare sviluppata dal Comune di Milano. Consente a enti diversi (pubblici e privati) di candidare i propri servizi perché siano integrati nella piattaforma. Il Comune di Milano mantiene controllo su requisiti e certifica gli enti in grado di fornirli. La piattaforma costituisce un ecosistema di servizi (che vanno dall’assistenza sanitaria al disbrigo delle pratiche) in cui i cittadini possono scegliere i servizi più adatti alle proprie esigenze. 

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