Nel gennaio del 1943 Cato Bontjes Van Beek scriveva queste parole al quindicenne Rainer Küchenmeister, condividendo il tormento delle carceri di Alexanderplatz. Cato era una ceramista di Brema, che viveva a Berlino, e faceva parte del Gruppo Schultze-Boysen/Harnack. Contribuiva alla resistenza antinazista con l’attività di stampa clandestina. Arrestata dalla Polizia segreta di Stato, processata, condannata a morte e impiccata il 5 agosto 1943 a Berlino-Plötzensee, fino all’ultima ora non perse la fede nella causa della libertà.
Posta davanti alla fine violenta della sua esistenza, continuò a credere nel futuro e nella fecondità del seme di giustizia che aveva piantato nella dissidenza alla barbarie del totalitarismo. Al più giovane Rainer, imprigionato insieme al padre Walter che poi venne giustiziato, e a tutti noi indicò la ricchezza della vita e il senso di una lotta che non mirava al martirio. La testimonianza di Cato è stata raccolta nelle Lettere di condannati a morte della resistenza europea, monumento di una gioventù capace di resistere al male guardando all’avvenire.
Isolamento e violenza
La realtà del carcere rappresentava per i dissidenti la rottura più dura con il proprio mondo. La privazione dell’isolamento e la violenza delle torture non riuscirono tuttavia a sottrarre la libertà di una generazione resistente. Nei paesaggi europei contaminati dalla guerra e dai suoi crimini perpetrati nel Novecento c’è un luogo che aiuta a scavare nelle terre dell’oblio. A Bautzen, cittadina della Sassonia e terra di confine con la Repubblica Ceca, nel centro di detenzione per dissidenti politici si percepisce la fatica della rielaborazione della storia del XX secolo e dei suoi lasciti.
A Bautzen, la storia della repressione della dissidenza politica risale all’alba del Novecento, quando tra il 1904 e il 1906 le autorità sassoni fecero costruire due istituti penitenziari di Stato. Al crollo della Repubblica di Weimar, la dittatura nazista riempì Bautzen I di oppositori innanzitutto comunisti, sindacalisti e socialdemocratici. Poi nell’area industriale a nord di Bautzen fu costruito un campo di concentramento.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel maggio del 1945 l’esercito sovietico arrivò a Bautzen e riadattò il luogo, come avvenne a Buchenwald, in uno dei dieci “campi speciali” creati nei territori della Repubblica Democratica Tedesca. Nel passaggio tra il regime nazista e la fase di occupazione sovietica, la differenza architettonica delle carceri consistette nel luogo di culto. I sovietici distrussero i centri di preghiera, che divennero dei cinema. Nei quarant’anni di vita della DDR, il carcere di massima sicurezza è stato riservato ai dissidenti politici, considerati dalla Stasi come i più pericolosi.
A Bautzen si respira la storia d’Europa che non abbiamo avuto il coraggio di affrontare ed è stata rimossa nelle sue complesse stratificazioni. Dal periodo nazista a oggi, Bautzen vive una battaglia costante, generale tra memoria e oblio, che appartiene all’Europa e al suo futuro.
Nazismo e passato comunista
La distanza tra Europa Occidentale e Orientale si misura anche sulle memorie dominanti: da una parte il nazismo, mentre nel cosiddetto ex-blocco sovietico aleggia quella del passato comunista.
La storia dei dissidenti è una delle più nobili dello scorso secolo. Nell’Europa, piombata nuovamente nell’incubo della guerra, ci si interroga sul loro ruolo e la forza di incidere nella società. Guardando alla Russia, alla storia degli intellettuali dissidenti il Premio Nobel per la pace Andrej Sacharov ricordava nelle pagine del libro Il mio paese e il mondo:
Dal ricevere le massime onoreficenze, come l’Ordine del lavoro socialista, il fisico, membro dell’Accademia delle Scienze dell’URSS, finì in isolamento nella città di Gor’kij. Sacharov prese posizione dalla denuncia della riabilitazione di Stalin al sostegno dei dissidenti e detenuti politici, incarnando il ruolo di critico indipendente del regime.
Ripercorrere la sua vicenda è più che mai interessante soprattutto nella prospettiva culturale della relazione tra il mondo della cultura, del sapere e il potere. Gli attacchi a Sacharov per le posizioni assunte arrivarono spesso dal suo stesso ambiente: «Essere scienziato sovietico significa essere patriota». Lo accusarono di condotta antipatriottica, di denigrare lo Stato socialista. Il grande scienziato era diventato «il portavoce della propaganda antisovietica».
Oggi la forza delle posizioni dissidenti appare sempre meno incisiva non soltanto in Russia.
Jaques Rupnik
Come sottolinea Jacques Rupnik, docente al Collegio d’Europa di Bruges, direttore di ricerca al Centre de recherches internationales e consigliere del primo presidente della Repubblica Ceca, Václav Havel, il veloce e spettacolare crollo dei regimi comunisti nell’Europa dell’Est nel 1989 è stato vissuto e resta nella memoria collettiva come una sollevazione pacifica di popoli mossi dall’aspirazione alla libertà e alla sovranità, che ha infranto i muri e fatto vacillare gli apparati totalitari.
La caduta del Muro è stata il momento più simbolico di una stagione d’apertura a più dimensioni che sembra tramontare. Nell’ora più difficile andrebbe ripresa l’idea dello spazio culturale e politico inedito del Novecento europeo che figure come Havel, protagonista della Rivoluzione di velluto che pose fine al regime comunista cecoslovacco nel 1989, seppero costruire attraverso la lotta per la libertà e la democrazia.
La lezione della dissidenza di Havel resta mirabile. Non era un progetto per la conquista e conservazione del potere. Non è stata condotta con gli strumenti tradizionali della lotta politica, ma proponeva e coinvolgeva la società per un risveglio culturale. L’esperienza di Havel esalta la possibilità di non allineamento dell’individuo in qualsiasi regime e propone la costruzione di una società in grado di sovvertire l’ordine politico esistente.