Il 15 marzo 1948 la Presidenza della repubblica, su proposta del Ministero della difesa concesse alla città di Milano la medaglia d’oro al valore militare. Era la centocinquesima onorificenza di tal tipo assegnata dalla Liberazione, e altre 2300 erano state assegnate nei centocinquant’anni precedenti, poiché il riconoscimento risaliva al 1793, ai tempi di Vittorio Amedeo III di Savoia impegnato a contrastare l’espansione della Francia rivoluzionaria. La precisazione non è pleonastica, perché definisce, almeno dal punto di vista della tradizione, la tipologia di virtù militare che la medaglia intendeva riconoscere, cioè la difesa della patria – o almeno il territorio “legittimo” del sovrano – contro lo straniero.
Le motivazioni della decorazione furono per l’occasione incise su una grande lapide di marmo che è tutt’ora affissa a fianco del portone principale di Palazzo Marino, la sede del municipio. La localizzazione ha grande importanza, perché intende fissare con l’eternità del marmo la memoria pubblica della città.
La motivazione della medaglia faceva riferimento ai mirabili esempi di “virtù civiche e guerriere che la Repubblica onora”, e indicava quattro date esemplificative del contributo di Milano. La prima e l’ultima sono di facile comprensione anche oggi. Vediamole.
Il riscatto di Milano
18-22 marzo 1848 era l’inizio del riscatto di Milano contro gli austriaci che la aggiogavano nell’ambito del regno Lombardo-Veneto; la rivolta di tutti i ceti della città costrinse le truppe di Radetzky a ritirarsi, costituì un modello e una guida per altre città lombarde e indusse il Regno di Sardegna di Carlo Alberto a muovere guerra l’Austria. Fu una guerra mal condotta, sfortunata e persa, ma la memoria pubblica dell’Italia unita l’ha sempre nazionalisticamente celebrata come “prima guerra di indipendenza”, a partire dall’insegnamento scolastico, secondo i programmi del 1867 e via via sino ad oggi.
La seconda data era una celebrazione del presente della città, e ancor più indelebilmente scolpita nei cuori e nei ricordi di chi partecipò alla cerimonia; il 25 aprile 1945 era infatti il giorno dell’avvio della vittoriosa insurrezione partigiana proclamata dal Comitato di Liberazione nazionale per la cacciata degli occupanti nazi-fascisti della città.
Due proposte memoriali chiare e di facile lettura; una speranza che pure non si era concretizzata in modo durevole (le Cinque giornate), una vittoria che ci si impegnava a rendere perpetua (il 25 aprile).
Le altre due date scelte erano meno facilmente interpretabili nell’ambito della memoria pubblica, cioè di un ricordo che viene recepito ufficialmente e proposto con intenti pedagogici, perché venga interiorizzato come elemento identitario per tutti i milanesi. La selezione fu piuttosto il frutto delle contingenze politiche del momento.
Il moto del 6 febbraio 1853 era noto ai milanesi sostanzialmente per il diffuso appellativo di “barabba” (sfaccendati), con cui furono definiti i partecipanti. I protagonisti furono esponenti del popolo minuto, che misero in atto una sanguinosa rivolta durata poche ore nella prima domenica dopo il carnevale ambrosiano. Ispirati da Mazzini, ma sostanzialmente organizzati in un proprio Comitato dell’Olona, avevano in sostanza forzato la mano anche a mazziniani di maggior spicco presenti in città, progettando di assalire l’armeria del Castello e di ripetere le Cinque giornate.
Sapevano di non avere dalla propria parte la borghesia e l’aristocrazia cittadina, come era invece largamente accaduto nel 1848, ma decisero di fare da soli; se non che, invece dei 5000 uomini previsti, se ne presentarono circa 400, che dovettero limitarsi a qualche sanguinosa scaramuccia in città che portò alla morte di dieci soldati austriaci e al ferimento di altri 51, mentre i civili che persero la vita furono circa una cinquantina.
Gli arrestati per la rivolta furono complessivamente 895; sedici di loro, colti in flagranza di reato (o presunta tale), furono giustiziati sulle forche allestite davanti al Castello. Diversi spinte concorsero a inserire il moto dei barabba tra gli eroismi milanesi. Il ministro della Difesa Cipriano Facchinetti era un repubblicano, inoltre le amministrazioni comunali dopo l’unità continuarono a coltivare la memoria dei moti, anche se piuttosto sottotraccia, lo fecero quelle conservatrici e quelle progressiste, e neppure il fascismo si era sottratto alla rievocazione. Soprattutto, però, il moto del 6 febbraio 1853 consentiva di completare in direzione del popolo minuto il messaggio patriottico che il riconoscimento intendeva tributare a Milano, senza però dare troppo spazio alle contrapposizioni politiche e sociali del presente. Insomma si recuperava il popolo minuto ma per un episodio lontano nel tempo, “freddo” dal punto di vista memoriale.
Nel giorno della cerimonia di conferimento della medaglia d’oro a Milano, l’Italia era nel pieno della campagna elettorale per eleggere il suo primo parlamento, e i principali contendenti erano da un lato la Democrazia Cristiana, che governava il paese con una coalizione centrista, e dall’altro i social-comunisti del Fronte democratico popolare. Come il segretario di Stato degli USA Marshall aveva precisato, una vittoria social-comunista avrebbe interrotto i finanziamenti americani all’Italia. Le commemorazioni e i riconoscimenti di quella fase di transizione, dunque, dovevano tenere conto degli equilibri di potere internazionale, ma avevano anche l’obbiettivo di solennizzare, nella giovanissima memoria repubblicana, la fase gloriosa della collaborazione nella resistenza antifascista di tutti i principali partiti impegnati nella contesa elettorale.
Un tale clima, probabilmente, influì sulla scelta dell’altra data memoriale, il 9 settembre 1943, il cui senso sfugge oggi ai più. Era sostanzialmente una scelta istituzionale; quel giorno si costituì il CLN, ma accadde a Roma; a Milano andò piuttosto in scena una sconfitta, cioè il fallimento del progetto degli antifascisti cittadini di organizzare una guardia nazionale, con civili e militari, per difendere la città dalla reazione tedesca. Le gerarchie militari presenti in città non appoggiarono il progetto, e l’11 settembre le Waffen SS presero il controllo di Milano. L’epopea resistenziale della città cominciò dopo.
Lotta contro l’occupazione
A Milano la lotta contro l’occupazione tedesca e il fascismo repubblicano si svolse lungo due direttrici, quella della guerriglia e dei sabotaggi, condotti soprattutto dai Gruppi di azione patriottica (GAP) di ispirazione comunista, mentre nelle fabbriche si era rafforzata nella clandestinità la rete di sostegno alle resistenza, ma si era sviluppata anche una lotta rivendicativa che ebbe i momenti culminanti negli scioperi del 13-18 dicembre 1943, in collegamento con gli operai delle grandi fabbriche di Torino, e ancora con lo sciopero generale del 1° marzo 1944, a cui fecero seguito centinaia di arresti e deportazioni di lavoratori nei campi di concentramento. Si trattava di altrettante manifestazioni di eroismo, che avevano anche avuto una esplicita coloritura patriottica e anti-tedesca.
Il conflitto operaio durante l’occupazione tedesca, almeno nelle modalità, era troppo somigliante allo scontro sociale in atto nel 1948, e non parve quindi adatto a illustrare le virtù eroiche della città.
In conclusione, il senso e l’orientamento di fondo della medaglia d’oro erano quelli di solennizzare la resistenza antifascista come epopea patriottica e a partecipazione popolare, volta a liberare il suolo italiano dallo straniero, e la coincidenza con la celebrazione del centenario delle Cinque giornate consentiva un naturale collegamento tra le lotte risorgimentali e la resistenza antifascista, entrambe forme di opposizione al dominio straniero. Nonostante le prudenze nella scelta degli episodi, le date ricordate hanno una valenza pedagogica ancora valida, anche se forse non pienamente consapevole nel 1948.
L’alternanza tra vittorie (1848, 1945) e sconfitte (1853, 1943) sta lì a ricordare che l’unità, l’indipendenza, la democrazia sono il prodotto di un necessario susseguirsi di alti e di bassi, di conquiste e di fallimenti; perché quel messaggio resti valido, comunque, è necessario soffermarsi con una certa costanza, generazione dopo generazione, sul dare senso a ognuno degli episodi scelti come memoria della città.